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  • Ulivieri scrive per CM: 'Mourinho ininfluente, Pioli vale 10 Luis Enrique'

    Ulivieri scrive per CM: 'Mourinho ininfluente, Pioli vale 10 Luis Enrique'

    La prima di Mourinho a Genova contro la Samp di Mazzarri, che per una settimana aveva mandato il fido Nitti, appollaiato su un albero della Pinetina a vedere gli allenamenti dell’Inter, non fu un gran successo. Finì 1-1 perché Mazzarri aveva cucito un abito perfetto addosso all’Inter, che non ce la fece ad esprimersi in nessun modo. Quando Mourinho lasciò l’Italia gli fu chiesto cosa avrebbe rimpianto di più, rispose: “La guerra tattica”. Lui, che per compattare il gruppo andava a scovare nemici ovunque: dirigenti, arbitri, allenatori - che a suo dire - si facevano fare la formazione dai presidenti, nel lasciare ammise di fatto che sul piano tattico si era molto evoluto. 

    LE TRE SCUOLE - Nel mondo ci sono tre grandi scuole di pensiero, che nel tempo si sono mescolate, soprattutto negli ultimi anni: la scuola sudamericana-spagnola, quella del tiki-taka, fatta di tecnica, abilità e passaggi corti; la scuola inglese, quella del kick and run (calcia e corri); poi quella italiana, fatta di difesa e contropiede. Fino a poco tempo fa, quando andavo all’estero le parole più conosciute erano pizza, mafia, Berlusconi e catenaccio. A dimostrazione che il calcio italiano all’estero ha un’identità ben precisa, un’icona riconoscibile e che ci ha reso sia celebri che titolati. Poi ci fu l’1-4-2-3-1 e il pressing degli olandesi, che sembrò una nuova scuola, ma vuoi perché non vinsero nulla, vuoi perché il possesso palla spesso parve stucchevole, non fu mai un pensiero universalmente riconosciuto. Anche se il modulo (1-4-2-3-1) è ancora molto diffuso. Ma si sa che un sistema di gioco non è indicativo di una scuola, ciò che la caratterizza è invece la filosofia di gioco, che si può applicare ai vari sistemi. 

    QUANTI STRANIERI HANNO LASCIATO TRACCE ? - Ancelotti, Di Matteo, Mancini, De Biasi, Zaccheroni, Capello, Lippi, Ranieri, e altri ancora, e non citiamo quelli che poi sono andati nelle serie minori. Hanno lasciato una traccia lì dove sono andati. Mentre gli allenatori stranieri in Italia hanno fatto altrettanto bene? All’inizio ne arrivarono molti, quando il calcio si giocava nelle città di porto. Venivano per lo più dall’Inghilterra e si chiamavano mister. Con il passare degli anni prese corpo una scuola importante, quella danubiana, vennero allenatori importanti, veri maestri come Arpad Weisz, ebreo-ungherese che vinse scudetti con Inter e Bologna e poi morì con la sua famiglia nel campo di sterminio di Auschwitz. Arpad lasciò tracce importanti. La scuola danubiana ebbe dominio culturale fino al 1954, quando l’Ungheria fu sconfitta in finale Mondiale contro la Germania, che aveva fatto ricorso al doping. In quegli anni arrivarono in Italia Czeizler (che allenò anche la Nazionale azzurra) e Nàndor Hidegkuti che, lo dico per conoscenza diretta, fu grande maestro di tecnica. 

    ALLENAMENTO NEL POLLAIO - Poi Helenio Herrera, che vinse molto e lasciò tracce di applicazione ottimale di catenaccio e contropiede. Si deve ricordare uno dei primi terzini fluidificanti: Giacinto Facchetti. Ma anche Heriberto Herrera, che portò lavoro e serietà e che cominciò a schierare la difesa in linea; ma non trovò seguaci. Poi Liedholm che lasciò tracce indelebili. Ma ricordo anche Lorenzo, quando nel 1985 ritornò alla Lazio; non lasciò tracce, se non il racconto, non si sa se romanzato, che per insegnare i cambi di direzione ai suoi difensori facesse rincorrere loro le galline. Mentre Eriksson ha lasciato tracce sia di gestione del gruppo che di organizzazione di squadra.

    SCONTRO IMPARI - Fino ad arrivare agli ultimi: Luis Enrique, anche se oggi allena il Barcellona ed ha vinto la Champions League, a Roma ha lasciato poche tracce. Indicativa fu una partita, Bologna-Roma, finita 1-1. Luis Enrique vs Stefano Pioli 0-10. E Benitez? non ha lasciato tracce, se n’è andato però con un portafoglio gonfio. Sarri lascerà tracce… Bjelica? Non ha lasciato tracce. E sicuramente ne ho dimenticato altri.

    LA STRANA TEORIA DI VAN GAAL - Un po di anni fa incontrai van Gaal, giocava a tre e chiese lumi sull’organizzazione difensiva. A domanda: "Quando un difensore viene saltato da un attaccante, come si muove il reparto?" Non rispose, dovetti fare la domande altre due volte e poi mi disse: “Se un difensore si fa saltare, se ne prende uno migliore e quello si cede". Ecco cosa manca secondo me agli allenatori stranieri: quell’arte  che i nostri allenatori hanno e che fa parte della cultura del nostro popolo. Virtù napoletana: l’arte di arrangiarsi. Ecco perché nel nostro campionato si vedono tantissimi moduli e variazioni in corsa. In questo consiste la difficoltà di chi arriva da fuori. 

    MOURINHO CONDOTTIERO E ININFLUENTE - Chiaramente ci sono anche allenatori stranieri che invece hanno giocato nel nostro calcio e che quindi riescono a calarsi meglio e prima nella realtà italiana. Ad esempio Paulo Sousa che, come Liedholm viene da anni di esperienza di calcio giocato in Italia. E se per il tecnico viola possiamo parlare di un italo portoghese, di Liedholm possiamo dire italo-svedese-napoletano. E Mourinho? Lui ha lasciato tracce sul piano della gestione del gruppo, dell’immagine, del sapersi porre all’interno di un sistema mediatico più difficile che dalle altre parti. Ma sul piano del gioco fu ininfluente. L’Inter vinse tutto, lui un grande condottiero sotto tutti i punti di vista, meno che su quello tattico.


    MEGLIO STRANIERI O MEGLIO ITALIANI ? - I successi Mondiali dell’1982 e del 2006 parlavano di una tradizione e di una cultura, quella italiana, all’avanguardia. Gli altri però andarono avanti, noi ci sedemmo sulla gloria. Dopo il 2006 venne a tutti noi la voglia di essere prima spagnoli e poi tedeschi. E l’Italia? L'Italia ritornerà grande se non metterà da parte la propria culura, ma la mischierà con quella delle altre grandi scuole. Se guardiamo il campionato e quello che i nostri allenatori stanno facendo. Per concludere: in Italia abbiamo bisogno di allenatori stranieri? Si se pensiamo ad uno scambio di culture perché il confronto tra culture diverse arricchisce sempre; no se pensiamo all’interesse delle società, che hanno bisogno di risultati immediati e che nella maggior parte dei casi non arrivano perché l’adattamento dei tecnici stranieri al nostro campionato, quando si verifica, ha quasi sempre necessità di tempi abbastanza lunghi. I nostri libri di tattica sono molto più pesanti di quelli di qualsiasi altro paese.
     

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