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  • Vincono quasi sempre le stesse: la Uefa contro le top 15 d'Europa

    Vincono quasi sempre le stesse: la Uefa contro le top 15 d'Europa

    Hanno lavorato bene, hanno valorizzato il prodotto come dovevano. Anche troppo. Una valanga ormai inarrestabile di denaro sommerge il calcio europeo, tra diritti tv e sponsorizzazioni. Solo negli ultimi due anni i profitti operativi totali hanno raggiunto la cifra di 1,5 miliardi di euro, a fronte dei 700 milioni di perdite che si registrarono prima del 2011, quando entrò in vigore il Fair Play Finanziario. Ma al tempo stesso la valanga riesce a essere una coperta corta, che riscalda e tiene nella bambagia solo gli happy few, mentre lascia al fresco o al freddo molti altri, creando discrepanze e squilibri ormai ben visibili, per alcuni intollerabili. È insomma lo spread che sale a far pronunciare le seguenti parole al presidente dell’Uefa Aleksander Ceferin, che presenta l’ottava relazione comparativa sulle licenze dei club europei, basata sui risultati dell’anno finanziario 2015: «L’Uefa deve rimanere vigile e prendere atto delle tendenze meno positive contenute in questa relazione, come il ritorno alla forte crescita dei salari e l’aumento della concentrazione di sponsorizzazioni e ricavi commerciali in una manciata di club».

    Nelle 130 pagine l’Uefa evidenzia in effetti la crescita degli spettatori negli stadi (+2,5 milioni nell’ultimo anno, per un totale di 170 milioni) e i benefici che il Ffp ha portato alle finanze generali dei club, come la riduzione delle perdite totali dell’80% (ora 300 milioni), dell’indebitamento netto sui ricavi e del numero dei club col bilancio in perdita (più che dimezzati). Fin qui tutto bene, si direbbe. Ma poi, e in controluce si nota senz’altro la guerra che sta montando tra l’Uefa e i migliori club d’Europa (rappresentati dall’Eca, che vuole una super Champions autonoma), la massima istituzione europea fa rilevare l’abnormità di certe cifre, anzi di questa in particolare: i 15 club più ricchi del continente negli ultimi cinque anni hanno fatto registrare un aumento dei ricavi di 1,51 miliardi di euro mentre nello stesso periodo i 700 club rimanenti hanno avuto ricavi in crescita per 453 milioni. Più di cento volte tanto. Una sproporzione orrenda, la forbice più grande del mondo.

    Di più, l’Uefa ammonisce sul fatto che i primi nove club (Real Madrid, Barcellona, Manchester United, Paris St Germain, Bayern Monaco, Manchester City, Arsenal, Chelsea e Liverpool in ordine di classifica per ricavi, la Juve è decima, il Milan quindicesimo) abbiano ormai creato un tale circolo virtuoso (risultati sul campo, investimenti, introiti commerciali, allargamento della tifoseria e dei “clienti” attraverso i social network) che li rende irraggiungibili dagli altri, creando pericolosi squilibri sul piano tecnico a gioco lungo. Del resto bastava guardare le semifinali di Champions dell’ultimo lustro: Real e Bayern sempre presenti, il Barcellona tre volte, Chelsea e Atletico Madrid due, City, Juventus e Borussia Dortmund una. Vincono quasi sempre le stesse, e si sapeva da tempo. In Europa, ma anche nei cinque campionati nazionali più importanti, dove ormai le sorprese non esistono più: per questo il Leicester è stata la favola del nuovo millennio. Ma ora l’Uefa vuole prepararsi allo scontro ormai imminente con i club più importanti, e il segnale d’allarme lanciato ieri non è casuale. State diventando troppo forti e ingombranti, è il messaggio. E c’è una postilla, quasi minacciosa: «L’Uefa dovrà rivedere e adattare le normative a un ambiente in rapida evoluzione. Spese eccessive e modelli di business non sostenibili non possono essere la risposta alla disparità finanziaria». La stessa che ormai esiste tra la Premier League e il resto d’Europa. I ricavi di lassù, affidati quasi sempre a proprietà non inglesi, sono abnormi: 4,4 miliardi, mentre la Bundesliga arriva a 2,4, la Liga a 2, la A a 1,9. Da soli, i 20 club della Premier incassano più di 597 squadre delle 48 leghe minori d’Europa messe insieme.

    Andrea Sorrentino per Repubblica

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