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  • Violamania: maledetto Chelsea...

    Violamania: maledetto Chelsea...

    Se anche voi sabato sera, più o meno intorno alla mezzanotte, vi siete trovati di fronte al televisore ad esultare manco foste Marco Tardelli nella finale di Spagna '92, al momento dell'ultimo rigore realizzato da Drogba, che consegnava la Champions League al suo Chelsea, quasi sicuramente eravate all'Allianz Arena in quella sera maledetta del febbraio 2010, quando l'arbitro norvegese Ovrebo e l'indimenticabile guardalinee Nebben compivano uno dei più grandi furti della storia del calcio. Voi che - come chi vi scrive - non dimenticherete mai quella notte a Monaco di Baviera, quel 2-1 che poi indirizzò la qualificazione ai quarti del Bayern, di sicuro avete gioito insieme a tutto il Chelsea. Eppure allo stesso tempo sicuramente vi siete domandati (e lo fate senza sosta tutt'ora) come è possibile che una Fiorentina che si faceva onore in Europa si sia potuta trasformare in soli due anni e mezzo in un modello di disorganizzazione.

    Negli ultimi dodici mesi c'è stato un susseguirsi di novelle dello stento, che imbarazzano chiunque abbia il viola nel cuore. Senza attaccanti per un intero campionato, con un presidente che da ancora più tempo non è un esponente della proprietà ma un signore che commette errori in sequenza; siamo ancora senza un allenatore, un direttore generale, e figuriamoci avere in organigramma un d.s. o un responsabile del settore giovanile... E c'è chi, dopo aver rimesso in panchina Vincenzo Guerini nelle ultime fasi di uno dei tornei di serie A più vergognosi di sempre, ci sta venendo a raccontare che quest'ultimo può trasformarsi in responsabile dell'area tecnica, con magari Macia, preso come capo-scouting, ad occuparsi del mercato. La pazienza, va da sé, è ai minimi termini: il grado di approssimazione che si percepisce è sempre più alto.
     
    Maledetto Chelsea allora, che hai vinto la Champions League, che battendo quei presuntuosi e arroganti del Bayern Monaco ci fai ricordare come i tempi belli siano dietro l'angolo della nostra memoria, e che qualcuno, per noncuranza o peggio ancora pressapochismo, ha distrutto una macchina quasi perfetta. Quesiti su quesiti si accavallano nella mente di tutti noi: ma possibile che imprenditori così innovativi e organizzati come i Della Valle non sentano il dovere di rimettere in mano a gente affidabile una loro azienda così importante e dal passato tanto prestigioso? Possibile che ci si muova quasi a dispetto della tifoseria, come a voler far pagare a quest'ultima un mancato sostegno per i progetti edilizi cittadini? Eppure, come diceva sempre Cesare Prandelli quando allenava la Fiorentina, basterebbe davvero poco per riaccendere tutto.
     
    Basterebbe mettere da parte presunzione, arroganza e supponenza, e tornare a fare calcio sul serio. Come fa l'Udinese, ad esempio, da molti anni, senza che la famiglia Pozzo vincoli il proprio progetto sportivo ad una 'Cittadella dello sport'. C'è voglia di normalità, non di qualcosa di speciale, ovvero gente di pallone vera, che magari conosca la città e sappia con essa dialogare. Perché Firenze è brontolona, sempre insoddisfatta e polemica, ma sa amare come nessuno in Europa chi fa del bene alla propria creatura. Strano che a Casette d'Ete questo ancora non si sia capito. Evidentemente la 'tempesta di idee' si è trasformata da tempo in uno tsunami di triste menefreghismo. Se fosse così sarebbe meglio dirlo, e farsi da parte, piuttosto che inscenare questo film che va avanti mestamente, da quella notte all'Allianz Arena di 27 mesi fa. 

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