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  • Vivo x lei Atalanta, Jacobelli: ma quale umiliazione, 1.500 tifosi caricano la Dea

    Vivo x lei Atalanta, Jacobelli: ma quale umiliazione, 1.500 tifosi caricano la Dea

    Direttore,
    le segnalo l'ennesimo attacco mediatico alla tifoseria atalantina e a Claudio Galimberti, fatto passare dalla Gazzetta come ultras che umiliano la squadra, quando invece è accaduto tutto il contrario: siamo stanchi di essere trattati come animali.

    Matteo Gossi
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    Caro Matteo,
    il video dell'intervento di Claudio Galimberti, storico capotifoso dell'Atalanta
      dimostra come stamane, allo stadio Achille e Cesare Bortolotti di Bergamo, non ci sia stata nessuna umiliazione della squadra. Nessuna gogna. Niente di niente, se non la voglia di 1.500 tifosi, compresi donne e bambini, di caricare i propri giocatori prima di incontrare il Sassuolo.
    Cos'è, reato? O forse è vietato chiedere impegno, sudore, fatica alla squadra del cuore che sta disputando un campionato sofferto ed è costretta a battersi per non retrocedere? E' proibito dimostrare la propria passione in tribuna anche il sabato mattina? E' proibito inalberare uno striscione con la scritta: "Svegliatevi"?
    Questa è stata una stagione durissima per i sostenitori bergamaschi, colpiti da provvedimenti che non stavano né in cielo né in terra, criminalizzati da uno Stato debole e ancora incapace di individuare e punire i responsabili degli incidenti post Atalanta-Roma del 22 novembre scorso.  Eppure, sei ragazzi sono stati arrestati e additati al pubblico ludibrio, salvo venire scarcerati e constatare che sei dei sette capi d'imputazione mossi nei loro confronti sono caduti (il settimo, resistenza a pubblico ufficiale, è stato mantenuto per imporre loro l'obbligo di firma).
    Eppure, per tre mesi in Curva Nord, su disposizone prefettizia, c'è stato l'apartheid dei tifosi: chi possedeva l'omonima tessera acquistata prima del 28 novembre, poteva entrare; chi non ce l'aveva, stava fuori.
    Eppure, per tre mesi, i temibili barbari orobici, cioè intere famiglie con bambini al seguito, armate di vino Valcalepio doc e polenta e osei da offrire ai tifosi avversari, sono stati interdetti dal seguire i nerazzurri in trasferta.
    Eppure, il Baretto dello stadio, noto covo terroristico dell'Isis, viene chiuso in occasione di quattro partite interne dell'Atalanta con un provvedimento che risale al regime fascista, perché c'è il sospetto sia frequentato da elementi pericolosi per l'ordine pubblico (a quando la chiusura di chiese, hotel, musei, ristoranti che si presumano siano frequentati anche da elementi pericolosi per l'ordine pubblico)?
    Eppure, in occasione di Atalanta-Torino, sono stati misteriosamente chiusi due ingressi su quattro della Curva Nord, con la conseguente formazione di code mostruose; padri, madri e figli costretti a esibire la carta d'identità ad alcuni maleducati gorilla, come se sulla tessera d'abbonamento non ci fossero nome, cognome e fotografia; come se la famigerata tessera del tifoso, il più micidiale sfollagente dagli stadi mai inventato da mente umana, non fosse già una schedatura bella e buona.
    Poi arriva sabato 11 aprile e millecinquecento sostenitori si radunano nella tribuna centrale per incitare la squadra che ascolta l'intervento del leader della tifoseria. E' lo stesso che, ogni estate, insieme con centinaia di volontari, organizza la Festa della Dea, durante la quale quasi 60 mila persone per una settimana si ritrovano insieme sotto il segno della passione e della solidarietà. E' lo stesso che, stamane come in estate, ha ripetuto i concetti che più stanno a cuore alla gente di Bergamo, dove non si dice vado allo stadio, ma vado all'Atalanta: avete la fortuna di fare il mestiere più bello del mondo, onorate la maglia, battetevi sino all'ultimo respiro e noi vi sosterremo sempre. Dopodiché partono cori e incitamenti e Reja, il decano degli allenatori italiani, commenta: "Questi tifosi ci hanno dato una grande carica".
    Se tutto ciò vuol dire umiliare l'Atalanta, forse era il caso di cominciare prima. 

    x.j.
     




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