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  • Wags? No, Wlogs. Anche in Serie A c'è l'invasione delle mogli chiacchierone
Wags? No, Wlogs. Anche in Serie A c'è l'invasione delle mogli chiacchierone

Wags? No, Wlogs. Anche in Serie A c'è l'invasione delle mogli chiacchierone

  • Pippo Russo
Continuavano a chiamarle Wags e non si rendevano conto ch'era solo provincialismo. Perché le mogli dei calciatori italiani hanno nulla a che vedere con quelle dei colleghi inglesi, da cui deriva il nomignolo reso noto a livello internazionale. Le nostrane hanno uno stile proprio, in nessun caso imitazione delle britanniche, a loro volta ormai passate di moda dopo i fasti degli Anni Zero.

Quelle erano una banda di parvenu sciamannate, che facevano gruppo a margine delle grandi manifestazioni calcistiche intanto che i mariti si maceravano nella clausura dei ritiri. E proprio nel gruppo trovavano la vera forza, capaci com'erano d'essere una nazionale inglese parallela, e di mettere in fuga da locali e discoteche schiere di maschi convinti di far valere la Legge del Testosterone. Costoro si ritrovavano invece respinti con perdite a colpi di flûte e tacchi 12 scaraventati come fossero ciabatte. Non erano certo "le mogli di". Erano le Wags, punto e basta.

E dove mai le trovate queste caratteristiche nelle moglie dei calciatori italiani? Stiamo parlando di due realtà totalmente diverse. Tanto erano colme di personalità e capaci di far gruppo le inglesi, quanto sono individualiste e totalmente gregarie rispetto ai mariti nell'espressione pubblica le italiane. E per ribadire la differenza, guardate un po' Wanda Nara. Individualista, ma non certo subalterna al suo uomo calciatore. Tutt'altro. È argentina, e si vede. Niente a che fare con le Caroline, o le Ilary, o le Benedette, o le Federiche. Che occupano la scena e sparano a zero soltanto per difendere le ragioni (?) dei loro uomini.

Angeli del focolare in parastinchi. Se quelle erano Wags, queste sono Wlogs: consorti sproloquianti, missionarie d'una guerra di parole condotta per procura. E so bene che di questi tempi l'accusa di sessismo incombe costante, e che fra il rappresentare il profilo di queste signore come "mogli di" e l'essere etichettati come maschilisti passa un nanosecondo. Ma come inquadrare diversamente certe performance via social network?

Senza far nomi, ché tanto potete riconoscerli facilmente, si parte con la fidanzata che saluta l'Italia dicendo che "ce ne andiamo nel calcio che conta". Come se anche lei andasse a giocare in Spagna. E quando poi "il calcio che conta" ha certificato quanto lei e il suo uomo contassero (zero meno), silenzio assoluto. C'è la moglie che usa i social network in modo tale da far sospettare che il marito le faccia da ghost writer, e da lì dà del "crisantemo" all'ex allenatore del consorte o si lamenta perché questi deve utilizzare lo spogliatoio dei magazzinieri. C'è la signora che non perde occasione per sbertucciare l'ex allenatore del marito, reo di lasciarlo in panchina. E c'è pure quella che rilascia interviste per dire che l'allenatore subisce la personalità del marito, e perciò lo bolla come "piccolo uomo" (c'è andata giù leggera, né?). Di episodi analoghi se ne potrebbe citare ancora tanti, tutti accomunati dalla pubblica intrusione verbale delle mogli in momenti delicati di carriera dei mariti.

Queste sono le nostre Wlogs. Rispetto alle cui performance più recenti e clamorose l'opinione pubblica si è divisa. Fra le tante posizioni espresse c'è stata quella di chi sostiene che le signore dei calciatori "non devono occuparsi di calcio ma pensare a fare le mogli". Opinione sballata per due motivi. In primis perché - questa sì - sessista al cubo. Ma soprattutto perché è clamorosamente tautologica.

Si chiede a queste signore di fare le mogli, ma cos'altro stanno facendo se non le mogli? È proprio a partire da quel ruolo che invadono il campo e fanno le Wlog. E il problema è che dovrebbero fare le mogli un po' di meno, evitando di confondere fra la dimensione affettiva di coppia e la carriera (personale) dei mariti. Certo, esiste la libertà d'espressione e ciascuno (assumendosene le responsabilità) può dire pubblicamente ciò che crede. Ma ci sono anche le ragioni di opportunità. Così come ci sono le figure dei mariti che lasciano fare, come non sapessero che certe esternazioni hanno delle conseguenze e influiscono sul loro rapporto con dirigenti e staff tecnici.

E infatti, provate a immaginare un allenatore che si sia sentito dare del "piccolo uomo". Da quel momento in poi saprà che se non manderà in campo il marito della signora, si sentirà fischiare le orecchie perché "piccolo uomo di risentimento". E se invece lo utilizzerà più del dovuto per non dare a vedere d'essere un "piccolo uomo del risentimento", si sentirà dentro un "piccolo uomo dell'irresolutezza". In ogni caso, il rapporto sarà falsato. E il tavolo della sala da pranzo avrà vinto sulla lavagna degli schemi.
 

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