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  • Weah torna in campo: il Milan e Lukaku, il razzismo e la Liberia, con la nuova ricandidatura nel 2023

    Weah torna in campo: il Milan e Lukaku, il razzismo e la Liberia, con la nuova ricandidatura nel 2023

    • Gianni Visnadi

    George Weah è stato eletto presidente della Liberia il 22 gennaio del 2018, dopo avere vinto il ballottaggio del 26 dicembre con il 60% dei voti. Ci parla al telefono, dalla sua villa alla periferia di Monrovia, costruita nel 2000, dopo che l’abitazione precedente era stata incendiata e distrutta durante la guerra civile, nel 1996, quando Weah giocava nel Milan. Calcio e politica, Italia e Liberia, presente e futuro, poco passato. Quando parla di calcio e di Milan, lo fa nel suo italiano sempre uguale, mai perfetto ma simpatico. Quando parla di razzismo, politica, Liberia, lo fa rigorosamente in inglese.

    Buonasera Presidente Weah, ogni tanto riesce ancora a vedere qualche partita di calcio?
    «Sì, il calcio mi piace. È stata la mia vita e grazie a Bein Sports che trasmette anche in Liberia posso vedere dal satellite tutte le partite importanti. Questa settimana ho visto la Champions League e sono rimasto impressionato da Real Madrid-Chelsea, uno spettacolo molto emozionante. Peccato per il Chelsea, meritava di più…».

    Com’è cambiato il calcio rispetto a quando giocava lei?
    «E’ molto più veloce, la Fifa ha cambiato le regole, che hanno contribuito anche a cambiare la mentalità. Un tempo, facevi un gol e ti potevi difendere, oggi resta tutto più aperto, più divertente. Non sta a me dire se eravamo più bravi noi, anche adesso ci sono giocatori molto forti».

    Sappiamo che è rimasto tifoso del Milan. Ha avuto modo di vederlo in tv?
    «Poco, in verità. So che sta facendo un'ottima stagione e che può vincere lo scudetto, me lo auguro. Però non sono in grado di dare giudizi. So che è una squadra giovane, ho sentito qualche volta Maldini, ci scambiamo spesso dei messaggi. E' contento, ottimista, mi ha parlato di alcuni giocatori come Leao e Theo Hernandez, ma non li conosco così bene per esprimere giudizi personali. Paolo è un milanista dentro, uno che può fare solo il bene del club. E capisce molto di calcio».

    L’unico che conosce davvero è Ibrahimovic, avete quasi fatto in tempo a incrociarvi in campo… Se la sente di dargli il consiglio di smettere?
    «Ibra è una leggenda, ha passione, se l’allenatore gli dà fiducia fa bene a continuare. Del resto io ho giocato con Pietro Vierchowod, che è stato in campo oltre i 40 anni e anche Paolo è arrivato a quell’età. E' possibile, se ci sono l’entusiasmo e la salute. E vogliamo parlare di Buffon, lui gioca ancora, no? Quanti anni ha? Lui potrebbe arrivare a 50!».

    In effetti, Ibra di salute non ne ha più granché...

    «Quello deve saperlo lui, anch’io avrei voluto continuare, ma a 36 anni non ce la facevo più, troppi malanni, arriva a un certo punto che non puoi più allenarti, quando invece dovresti allenarti di più dei giovani. E così mi sono fermato».

    Il razzismo continua a essere una piaga negli stadi, forse un po’ meno in campo rispetto ai suoi tempi. Di provocazioni come quella di Jorge Costa nei suoi confronti a Oporto non si ha più notizia da tempo.
    «Lo so, purtroppo il razzismo è ancora negli stadi, perché è ancora nella vostra società. L’africano, il nero, il diverso è visto in Europa ancora con diffidenza da troppa gente e i politici spesso coltivano questa diffidenza».


    Cosa ricorda di quel Porto-Milan del novembre 1996?
    «Un avversario cattivo e ignorante che per tutta la partita mi ha insultato facendomi il verso della scimmia. Lo vedevano i miei e i suoi compagni, penso anche l’arbitro, che però non fece nulla. Alla fine, nel tunnel degli spogliatoi, gli diedi una testata. Sbagliai, lo so. Ma in quel momento volevo che dal giorno dopo, ogni volta che si guardava allo specchio si ricordasse di me».

    Un’ultima cosa di calcio. Come si spiega la crisi di Lukaku, fondamentale per l’Inter e invece deludente al Chelsea.
    «Lukaku è un giocatore molto forte, mi piace molto. Al Chelsea non è andato bene perché ha trovato un altro tipo di calcio, non adatto alle sue caratteristiche. Hanno sbagliato ad acquistarlo, se non pensavano di farlo giocare sfruttando la sua velocità e la sua forza, che sono impressionanti»

    Abbiamo scoperto che oggi 15 aprile è un giorno importante a Monrovia, verrà infatti inaugurato l’Invincible Sports Park. Ce ne vuole parlare?
    «Si tratta di un centro sportivo tra i migliori di tutta l’Africa, e sarà a disposizione dei liberiani. Campi da calcio, basket, volley, tennis, spogliatoi. Abbiamo valorizzato una vasta area abbandonata. Io ho cominciato a giocare negli Invincible Eleven, avevamo il campo lì vicino. Questa è un’opera che entrerà nella storia del mio Paese. Per l’inaugurazione verranno alcuni tra i miei più grandi amici del calcio, da Drogba a Eto’o e Kallon. Ho invitato anche Simone e Maldini, ma non possono venire. Paolo mi ha spiegato che c’è una partita del Milan e deve stare vicino alla squadra, è giusto così».

    Abbiamo visto personalmente quanto i liberiani amavano il calciatore Weah, quando giocava. Qual è oggi la popolarità del Presidente Weah?
    «La mia gente mi vuole bene, continua ad amarmi e a credere in me, perché vede che i risultati della mia presidenza stanno arrivando. In questi tre anni, nonostante la pandemia da coronavirus la nostra economia è cresciuta, la disoccupazione è calata, abbiamo costruito infrastrutture e consolidato la pace, che è la base su cui costruire il progresso di un popolo».

    Eppure c’è una parte di Paese che la critica, che la contesta.
    «C’è ovunque, ma è minoranza e non ci impedisce di lavorare e seguire i nostri piani. Proprio questa settimana abbiamo presentato in parlamento una legge anticorruzione che servirà a estirpare uno dei mali cronici della Liberia, anche se in realtà la corruzione è uno dei mali del mondo, anche di quello occidentale. Perché dietro la corruzione ci sono soldi rubati al popolo».

    Il suo mandato presidenziale scade nel 2023. Ha già deciso se si ricandiderà o meno?
    «Sicuramente sì, lo vogliono i liberiani. A ottobre del prossimo anno ci saranno le elezioni, le farò e il CDC, la Coalition for Democratic Changement, il mio movimento politico, vincerà un’altra volta e potremo continuare il nostro lavoro».

    La Liberia rimane un Paese povero. Pensa che il mondo ricco stia facendo abbastanza per aiutare nazioni come la sua? Qual è la cosa di cui avverte più bisogno: denaro, tecnologia, solidarietà, che cosa?
    «Servono soprattutto investimenti e infrastrutture, sono un moltiplicatore di risorse. Anche la solidarietà è importante, ma il problema non riguarda solo la Liberia, ma tutta l’Africa. Ce n’è, sicuramente. Ce n’è più oggi di un tempo. Ma non è mai abbastanza».

    Come è stata vissuta in Liberia la pandemia da covid-19? A che punto siete con le vaccinazioni?
    «Circa il 50% dei liberiani ha concluso il ciclo vaccinale. Abbiamo spinto la popolazione a farlo, anche se da noi i vaccini sono arrivati in ritardo rispetto all’Europa, però li abbiamo gestiti bene. Fortunatamente la pandemia mi ha colpito in modo meno grave che in Europa e in Asia e siamo riusciti a reggere, grazie anche alla collaborazione della popolazione».
     
    Quanto è stato importante per lei avere accanto una donna come sua moglie Clar per riuscire a diventare presidente della Repubblica?
    «Ho conosciuto Clar quando giocavo nel Monaco ed è stata accanto a me in tutta la mia vita, una donna fondamentale, sempre con le parole e i consigli giusti in ogni momento cruciale, anche quando ho deciso di provare per la prima volta a fare qualcosa di concreto per il mio Paese. Siamo orgogliosi l’uno dell’altra».

    Chiudiamo con il calcio. Suo figlio Timothy, 22 anni, gioca nel Lille, attaccante come il papà. Sarà lui, a novembre, il primo Weah a giocare la Coppa del Mondo di calcio, con gli Stati Uniti.
    «Prego perché ciò accada, sarebbe fantastico. Timothy è forte, non posso dire quanto, perché in questi anni è stato un po’ condizionato dagli infortuni, non si è ancora espresso al massimo del suo potenziale. Io e la mamma e i suoi fratelli siamo felici per la sua carriera e orgogliosi che possa giocare un Mondiale. Io ci sono solo andato vicino, nel 2002, ma abbiamo perso all’ultima partita di qualificazione».

    Timothy potrà mai giocare in Italia, magari nel Milan?
    «Non lo so, non voglio dire nulla di ciò. Certo che sarei molto contento se accadesse».


    @GianniVisnadi


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