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Redazione Calciomercato15 mag 2025, 14:32
Ultimi aggiornamenti: 26 giu 2025, 19:28

Che fine ha fatto Francesco Coco? "Ad Abu Dhabi vivo esattamente come a Milano. Ho rifiutato Manchester United e Arsenal"

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Francesco Coco, ex terzino, tra le altre, di Milan, Inter, Barcellona e Nazionale, si racconta a "Storie di Serie A" su Radio-TV Serie A con RDS.

CITTADINO DI DOVE
Le radici sono le radici, quindi siciliano sicuro. Però Milano mi ha dato tantissimo. Sono arrivato da piccolo, ho fatto il collegio, ho fatto tutte le giovanili del Milan e poi la maggior parte della mia carriera si è sviluppata a Milano, quindi mi sento milanese con radici siciliane ben solide.

VITA AD ABU DHABI
E’ stata e continua a essere un'esperienza molto positiva. Io sono arrivato un po' nel golfo, ormai 13 anni fa quasi per caso come spesso succede, e mi sono ritrovato poi a stare molto più tempo lì e alla fine ho deciso di trasferirmi. E’ stata una scelta piacevole. Non pensavo perché noi abbiamo sempre questi pregiudizi e li vediamo completamente diversi. In realtà però gli Emirati Arabi sono molto vicini a noi come mentalità e sono occidentalizzati per tante cose. Poi hanno le loro regole, ma sono regole semplicissime, l'importante è non fare casino, rispettare quelle due o tre regole che secondo me a livello civico sono importanti da seguire anche al di fuori degli Emirati. Vivo esattamente come vivevo qua a Milano, alla fine non ci sono restrizioni particolari che differenziano così tanto le due culture.

COME E’ VISTO IL MODELLO SERIE A NEGLI EMIRATI
La Serie A, come tutto il Made in Italy, di base sono visti in maniera positiva. La Lega Serie A in questi ultimi cinque anni sta crescendo bene, ha un progetto che ovviamente deve essere perseguito e lo sta facendo secondo me nel modo giusto. Può solo che migliorare e dobbiamo migliorare come Lega, perché è giusto che la Lega Serie A e tutto il calcio italiano ritornino un po' a quello che era negli anni 90/2000. Ci sono tutte le potenzialità e vedo una strada ben precisa con un obiettivo di crescita importante. 

LA FELICITA’ QUANDO ERA CALCIATORE
Per me la felicità era rimanere il ragazzo che ero. Ho avuto la grande fortuna di poter esaudire il sogno di diventare professionista e diventare giocatore di Serie A, però nel momento in cui questo sogno si è avverato, ho continuato a essere me stesso, non ho mai abusato del potere di calciatore, ho mantenuto gli amici di sempre, quindi una vita normale al di fuori del campo l'ho sempre avuta. Quello mi ha aiutato ad avere un equilibrio e a mantenere una tranquillità e un benessere interiore che mi ha fatto vivere la vita a 360° in maniera più lineare, perché quando diventi un personaggio pubblico ci sono tante pressioni e se tu non riesci in parallelo ad aggrapparti a quello che sono le tue radici, i tuoi amici, la tua famiglia, o comunque le persone che realmente ti vogliono bene, poi diventa più difficile perché è un turbinio, tante persone magari si avvicinano non per la tua persona, ma per le opportunità che magari possono cogliere.
Se non riesci a mantenere anche la tua vita reale, che avevi prima di diventare un personaggio pubblico, può essere poi difficoltoso perché c'è poca realtà nella parte calcistica.

L’ESORDIO
Il mio esordio è stato un po' come il primo amore, come fai a scordarti. E’ stato bello, inaspettato, perché era il 27 agosto del 1995. Io mi allenavo da due anni con quella che penso sia stata una delle squadre più forti della storia, perché era il primo Milan di Capello che prendeva il Milan di Sacchi, quindi era un Milan straordinario con dei giocatori e dei campioni incredibili.
Il giovedì si stirò in Nazionale Maldini, io avevo 18 anni e Capello, che in quel momento mi metteva un po' di ansia, mi chiese come stessi, risposi che stavo bene e lui con nonchalance mi disse “domenica giochi”. Così improvvisamente io dal giovedì alla domenica non andai in bagno, non riuscii a dormire 20 minuti (ride, n.d.r). Fu un esordio bellissimo perché a Padova vincemmo 2-1, Andammo in vantaggio con Weah, Morello fece il 1-1 e poi il 2-1 lo fece Franco Baresi, fu l'ultimo suo gol in Serie A e me lo dedicò. Per me è stato un orgoglio incredibile. Franco era il faro, era quello che realmente teneva in piedi un po' tutto quanto.
Il fatto che io abbia potuto avere l'opportunità di giocare i miei primi due anni con lui è stato incredibile. 

L’ARRIVO AL MILAN
Feci le giovanili al Milan. Non feci neanche un provino. Mi chiamarono e andai a fare un torneo con i giovanissimi di 3-4 giorni e da lì poi mi presero.

LA GAVETTA
All’epoca non era come adesso che il giovane a 17/18 anni arriva e già si può permettere di avere comportamenti simili ai giocatori della prima squadra. Noi quando arrivavamo facevamo la gavetta che, secondo me, era bella, perché ti faceva capire che anche se ti trovavi lì, non c'era niente di scontato e che per arrivare ai livelli dei grandi ne dovevi fare di strada.
Capello mi metteva un po' di agitazione, era un condottiero bello tosto, io ho cominciato ad allenarmi con la prima squadra molto giovane, a 15 anni e le battute che facevo agli amici quando tornavo a casa riguardavano il fatto che io fossi la persona più pulita e profumata del mondo perché ogni volta che facevo un errore mi mandava sotto la doccia (ride, n.d.r).
Comunque abbiamo sempre avuto un buonissimo rapporto, mi massacrava, ma sapevo che era solamente per darmi una direzione e farmi crescere. C’è un aneddoto divertente, a Milanello poi cercavo se potevo di non incrociare mai la sua strada perché avevo paura che mi dicesse qualcosa e la maggior parte delle volte erano bastonate. Un giorno, come a tutti gli allenamenti uscii per ultimo pensando che non ci fosse più nessuno, ma incrociai Capello, lo salutai, lui mi guardò e disse “Coco, se tu diventi calciatore, io mi taglio le palle” (ride, n.d.r).
Fu però lui poi a farmi diventare calciatore professionista. Quindi ti bacchettava, ma perché ci teneva. Ho avuto questo rapporto di amore e ansia con Capello, però gli devo tutto perché credette in me, mi diede la possibilità di esordire, aveva tanta consapevolezza che io potessi fare qualcosa di buono.

GIOCARE CON ENTRAMBI I PIEDI
Ho sempre giocato a sinistra e quello mi ha dato l'opportunità di cominciare a giocare con i due piedi, perché quando giochi a piede invertito sei obbligato a giocare con entrambi. Per me è stato abbastanza semplice e normale, non ho avuto grandi difficoltà. Ero consapevole della mia forza e del fatto che io potessi stare a quei livelli e quello mi aiutava tanto. Le pressioni invece le sentivo, San Siro è sempre stato uno stadio talmente bello e passionale, che se in alcuni momenti della stagione tu eri un po' giù emotivamente, un po' più debole, poteva essere anche bello tosto da affrontare, anche se poi era il tuo stadio di casa. Ci sono state sicuramente tantissime preoccupazioni per partite importanti o comunque la consapevolezza di indossare una maglia incredibile con un peso storico.

L'EXTRA CAMPO
Sicuramente mi sono divertito, non mi sono fatto mancare nulla. È anche vero che a vent'anni ci deve essere lo spazio per poter crescere anche umanamente e fare le proprie esperienze con i tempi giusti con la consapevolezza che comunque tu sei un professionista e devi fare il professionista. All'epoca si parlava tanto di giocatori che uscivano, ma lo si faceva quando si poteva senza mai strafare o fregandosene. 
Ci siamo divertiti perché comunque staccare la spina è importante. Dall’esterno forse uno non lo capisce, ma il lavoro del calciatore porta a un sacco di pressioni e stress e il fatto anche di uscire, di farsi una serata, o vedere gente, contribuisce a poter bilanciare un po' le cose, altrimenti si rischia un sovrappeso enorme.

LO STRESS
Per me lo stress è una malattia pesante che potrebbe scatenarne altre più importanti. Ecco perché dico che tante volte un uomo deve uscire un po' dalle righe proprio per questo, perché non si può sempre stare sul pezzo e andare e correre a testa bassa. Devi anche capire il fisico, la testa e la mente e capire che hai bisogno anche di evadere. L'obiettivo è quello di stare bene perché se stai bene in generale riesci a fare meglio le cose. Solo il diretto interessato può capire il perché di certe scelte, sa quello che ha dentro e sa quello che è necessario in quel momento, anche se magari all'esterno può sembrare strano o sbagliato.

LASCIARE IL MILAN
Sono sempre stato un ragazzo molto appassionato e molto istintivo, quindi tante scelte le ho fatte proprio con la mia istintività, senza pensare troppo. Il Barcellona è stata una di quelle Arrivando Terim, ho avuto subito degli scontri anche verbali con lui, non digerivo il suo modo di lavorare, il suo modo di essere, perché arrivò con una presunzione incredibile, parlava pochissimo italiano, nonostante avesse allenato comunque un paio d'anni la Fiorentina, e non mi piaceva tanto, io poi ero uno che le cose le diceva in faccia. Ho avuto la fortuna di crescere nel primo Milan di Berlusconi con un'organizzazione e un’umiltà incredibile, un lavoro quotidiano che dire professionale era poco, e lo stesso Fabio Capello che aveva fatto la storia del Milan era sempre sul pezzo con la squadra. Ci fu un episodio che mi fece veramente infuriare. Andammo, forse a Piacenza a giocare, e il mister non era con noi in pullman ma dietro in macchina e io mi arrabbiai. Durante la preparazione estiva, litigai con lui già i primi due o tre giorni: giocai tutte le partite e la prima di campionato mi mise in panchina con il Brescia, mi fece entrare il secondo tempo, stavamo perdendo 2-0, io feci due assist, pareggiammo, e da lì decisi di accettare il Barcellona che mi voleva già a giugno.
Per il Milan ero incedibile, poi all'arrivo a luglio di Terim un po' si era rotta questa cosa. Galliani mi diceva di stare tranquillo però l'anno dopo ci sarebbe stato il mondiale e la mia paura era di perderlo, quindi fu una scelta molto istintiva e se avessi aspettato due mesi probabilmente non me ne sarei mai andato dal Milan (ride, n.d.r). 
Alla fine di quell’anno arrivò Ancelotti e ricevetti una chiamata proprio da lui. Parlammo per due ore e mi disse che mi rivoleva al Milan, ma non accettai, avevo preso la mia decisione.   Per me il Milan è il Milan, io sono milanista e continuerò a esserlo, sono orgoglioso di averne fatto parte per tantissime stagioni e averlo rappresentato e questo non me lo toglierà mai nessuno, però sono scelte, che possono essere giusto o sbagliate, e va bene così.

26 SETTEMBRE 2000, PRIMA VITTORIA DI UNA SQUADRA ITALIANA A BARCELLONA
Fu una partita bellissima, perché noi italiani non siamo mai i favoriti, quindi andammo a Barcellona da sfavoriti per tutti, anhe per la stampa. All'epoca eravamo molto giovani e ci dicevano che non ci fosse un vero e proprio campione, che sarebbe stata dura, poi vincemmo 2-0 con un mio gol e un mio assist ed è stata sicuramente una delle mie partite più belle perché gol e assist in una partita al Camp Nou contro il Barcellona in Champions League è un qualcosa di incredibile, nessuno se l'aspettava, fu un orgoglio per me. 

L’INTER
A maggio ricevetti la telefonata di Ancelotti perché voleva che io tornassi, io lo ringraziai, ma ormai si erano rotte troppe cose. I sei mesi precedenti, Moratti e Oriali mi chiamavano spesso, sentivo la loro fiducia loro e ritornare a Milano era quello che mi interessava di più, perché allora il campionato italiano era il campionato più importante, Milan, Inter e Juve erano le squadre che vincevano quindi tornare era la mia prima scelta. Ci fu l'occasione e tornai. Non pensai tanto a Milan e Inter, perché il lavoro è lavoro, la mia fede rimane quella, dentro di me non sarebbe cambiato niente e così è stato.
Tutto quello che ho fatto nella vita lo ritengo positivo, cercavo di prendere la scelta migliore o la scelta più giusta in quel momento, poi ovvio non possiamo decidere e fare sempre scelte positive, qualcuna sarà stata sicuramente negativa, però il presupposto era positivo. Non posso dire ho sbagliato, perché se lo fai con un’idea positiva non sbagli mai. Può essere una scelta sbagliata, che nella vita è un'esperienza, che poi ti porterà magari a ragionare in maniera diversa prima di prendere una scelta successiva. Non ho rimpianti. 

IL RITIRO
Ho dovuto ritirarmi perché dopo la prima stagione all'Inter feci un'operazione alla schiena che andò male, stetti due anni e mezzo fermo, mi recisero il nervo sciatico e di questo se ne parlò poco, la gente pur sapendo che ero infortunato mi dava addosso per cose extracalcistiche, ma a me non interessava. Purtroppo ho avuto tanti infortuni, ho rotto i due crociati, la schiena, che è stato l'infortunio che mi ha tolto praticamente tutto, ho perso il 45% di muscolatura della gamba sinistra, era quasi impossibile ritornare a giocare e decisi di smetterla perché non ce la facevo più, non riuscivo neanche a stare in piedi. 

L’ELIMINAZIONE AI MONDIALI 2002
E’ stata la sofferenza peggiore penso per tutti i componenti di quella nazionale. Eravamo forti e ce la potevamo giocare. Ha vinto il Brasile con quei fenomeni, però sicuramente non eravamo da meno, davanti avevamo Totti, Del Piero, Vieri, Inzaghi, dietro c'erano Maldini, Cannavaro, Nesta, Buffon, c'era Zambrotta, c’ero io, avevamo una squadra veramente importante. Purtroppo è andata come è andata, abbiamo cercato di fare di tutto in quella partita, ma fin dall’inizio si respirava un'aria tosta e pesante e sotto gli occhi di tutti è successa la qualunque. La partita era indirizzata completamente da parte loro, giocare diventava difficile perché la prima cosa che facevi ti bloccavano e non riuscivi a costruire nulla.
Durante la partita io e Panucci abbiamo cercato di parlare con Moreno, ma nel momento in cui ti avvicinavi per chiedergli spiegazioni lui ti guardava perplesso e se andava senza darti attenzione e quello è stato frustrante. Siamo stati anche abbastanza sfortunati, abbiamo sbagliato dei gol che potevamo fare, c'è stato il gol annullato e poi il golden gol ci ha tagliato le gambe. Era una partita che doveva andare così, ha segnato un giocatore non tanto alto, saltando con Paolo, che di testa non ne aveva mai persa una, qualcuno secondo me lo ha tenuto anche attaccato a terra (sorride, n.d.r). A un minuto dalla fine del primo tempo mi ruppi praticamente la testa, mi diedero 6 o 7 punti in spogliatoio, ritornai in campo con tutta la fasciatura e mi ricordo un dolore incredibile con quella delusione devastante. Mi misi a terra a centro campo e stetti un quarto d'ora da solo, oltre al dolore non ci credevo perché era il sogno di tutti. Essere consapevoli di essere una delle squadre più forti ti porta quella convinzione di poter dire “ce lo giochiamo, arriviamoci e poi vediamo come va” e uscire agli ottavi così è stato veramente devastante perché è stato un qualcosa che non è dipeso da noi. 

BERLUSCONI
Il rapporto con lui era bellissimo perché tutti sappiamo l'amore che aveva Berlusconi per i suoi giocatori e soprattutto per chi era un prodotto del Milan, io lo ero e mi vedeva anche con occhi un po' diversi. Quando veniva a Milanello stava vicinissimo alla squadra, quindi mi vedeva spesso fin da ragazzino. C’è un aneddoto divertente, lui voleva i giocatori belli e ordinati, io avevo spesso i capelli lunghi e mi rompeva un po' le scatole perché era convinto che poi di testa non riuscissi a colpire, non vedessi la palla e un giorno prese la forbice e mi tagliò il ciuffo davanti, io fui obbligato poi ovviamente a tagliare i capelli (ride, n.d.r.)

MALDINI
Paolo, come Baresi, è stato ovviamente un punto di riferimento, loro sono quei giocatori che hanno uno status talmente grande che è impossibile non guardarli, non seguirli e non percepire quello che sono.
C'era sempre questo accostamento, Francesco l'erede di Paolo, e questo non fa bene a nessuno, perché ognuno è diverso.Cercavo di allontanarmi un po' da Paolo, ma non perché non lo stimassi, perché volevo cercare di non dare troppo importanza a queste aspettative che per qualsiasi giovane sono troppo, però l'ho sempre guardato con ammirazione, perché è stato un giocatore incredibile, un professionista che dava il 110%, e che come Franco, parlava poco, ma aveva quest'aura che ti trasportava, ed è stato incredibile.

TRE COMPAGNI, AVVERSARI E TERZINI PIU’ FORTI
Per me i compagni più forti sono stati Maldini, Baresi e Baggio. Lui è stato anche uno degli avversari più forti insieme a Zidane e Ronaldo il Fenomeno. Mentre tra i terzini più forti di oggi penso ad Hakimi perché è un giocatore che mi è sempre piaciuto; Alexander Arnold che ha delle qualità importanti; per quello che sta facendo e perchè è italiano metto Di Marco, mi piace.

L’ALLENATORE PERFETTO
Sono stato fortunato perché ho avuto tanti allenatori maestri di calcio. Zaccheroni è stato importantissimo per me, perché io sempre giocavo terzino-sinistro a 4, lui mi faceva giocare a 3 in difesa, quindi ero molto più libero e riuscivo a esprimere meglio le mie caratteristiche. Sicuramente ero più bravo a offendere che a difendere, o comunque mi piaceva di più.
Lui è stato importante a livello tattico e la fiducia che mi ha dato è stata tanta, aveva una fiducia incondizionata. Capello è stato fondamentale. Loro due mi hanno dato qualcosa in più. Ma inserisco anche, e nessuno ne parla,  Guidolin: è stato importante e un grandissimo allenatore.

LA SQUADRA DOVE AVREBBE VOLUTO GIOCARE
Io non volevo giocare da nessun’altra parte, sinceramente. Poi ho giocato in altre squadre, è vero, però ho avuto la grande fortuna di nascere nel Milan e per me era la società numero uno al mondo e la squadra più forte. E di andare da altre parti non ci pensavo proprio perché ero già al top. Sono andato via, per tante situazioni, ma non perché volessi. Ho rifiutato tante squadre, anche prima del Barcellona avevo rifiutato il Manchester United, l'Arsenal. Ero dove volevo essere.

NEL 2035
Sarò vecchio. Se penso ai dieci anni già trascorsi ho fatto di tutto. Non ho figli e mi piacerebbe avere una famiglia. Mi auguro quello.

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