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CALCIOMERCATO24 apr 2025, 14:00
Ultimi aggiornamenti: 26 giu 2025, 19:15

Juvemania: neanche Tudor ha dato cattiveria a questa squadra. E' tutto da rifare, o da affidare a Conte

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Ci sono illusioni che svaniscono all’alba e altre che resistono appena oltre il crepuscolo. Quella di Igor Tudor alla Juventus, per qualche giorno, è sembrata appartenere alla seconda specie: due vittorie immediate, un pareggio solido all’Olimpico, parole affilate e promesse di un calcio affamato, verticale, feroce. Poi, a Parma, è calato il silenzio. O meglio: è arrivato il rumore ovattato di una squadra che ha smesso di rispondere.

Al "Tardini", più che un inciampo, è stato un risveglio brusco. A trenta giorni dal suo insediamento, il primo vero fallimento dell’era Tudor è già sul tavolo. Non nei numeri, che ancora raccontano una storia incompleta, ma nello spirito. Nella postura disillusa con cui l’allenatore ha parlato di mancanza di cattiveria. Non più come denuncia, ma come dato di fatto. Un limite strutturale. E allora la domanda sorge: si può davvero instillare carattere in una squadra che non l’ha mai mostrato, se non a intermittenza, in una stagione vissuta per inerzia? Si può imporre la fame, il fuoco, dall’esterno, quando dentro sembra essere rimasto solo il fiato corto?

Tudor ha provato a rianimarla con il suo stile diretto, con un’idea di calcio viscerale, fatta di contrasti, corsa e verticalità brutale. E all’inizio, sì, qualcosa si è mosso. La Juve pareva più reattiva, più viva. Ma era il classico scatto di riflesso dopo il cambio, quell’energia che dura quanto un applauso a scena aperta. Poi la realtà è tornata al suo posto. E la Juventus è tornata a essere la Juventus di quest’anno: grigia, frenata, confusa. Una squadra che gioca senza convinzione, che attacca senza fede, che difende più per abitudine che per convinzione.

Non è solo un problema tattico. È una questione di identità. Con Allegri si era fatta attendista, quasi rassegnata. Con Motta ha tentato un'utopia quasi basata sugli algoritmi delle convinzioni dell'allenatore. Con Tudor avrebbe dovuto ritrovare la rabbia, ma è rimasta intrappolata tra due idee che non si parlano, che si escludono. Così è finita nel vuoto tra due narrazioni: né conservatrice né rivoluzionaria, semplicemente smarrita. L’aura di miracolo che avvolgeva le prime settimane del tecnico croato si è dissolta come nebbia al primo sole. Le suggestioni di un nuovo Conte, con cui qualcuno troppo in fretta aveva tracciato paragoni, sono crollate alla prova dei fatti. Perché Conte ti plasma con le mani e con la voce, ti obbliga a seguirlo, ti tira fuori il massimo o ti lascia indietro. Tudor, per ora, sembra più un allenatore che osserva da bordo campo, cercando risposte in uno spogliatoio che ha perso l’abitudine di farsele venire.


Non è (ancora) una condanna, ma una diagnosi. Due figure diverse, due mondi lontani: per spessore, per impatto, per forza magnetica. E forse non è nemmeno colpa sua. Forse oggi nessuno saprebbe cavare sangue da questa pietra, produrre una reazione da una rosa che pare non credere più nemmeno a se stessa.

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