Mastour: "Mi sentivo un supereroe, invece ero una marionetta, ora sogno il Mondiale". Dove gioca adesso?
Arrivato a 27 anni, l'x baby prodigio Hachim Mastour, fresco di nuovo contratto con la Virtus Verona in Serie C, si racconta ai microfoni della Gazzetta dello Sport. Di seguito i passaggi più significativi dell'intervista a SW.
Negli spogliatoi, prima del servizio fotografico, hai detto: tornerò dove devo stare. Cioè dove?
"Ho in testa un obiettivo che è il motore che mi fa lavorare ogni giorno: tornare su grandissimi palcoscenici. Tornare in Serie A, giocare la Champions League, il Mondiale".
E il Mondiale con quale maglia lo giochiamo?
"Sono nato in Italia da genitori marocchini: sono aperto a tutto".
Come sei arrivato alla Virtus Verona?
"Tramite il mio agente Paolo Cardillo. Mi sono incontrato con Gigi Fresco, presidente e allenatore del club, che mi è piaciuto subito".
Ti ha convinto più l’allenatore o il presidente?
"Fresco è anche padre, fratello… Possiede un’aura, la capacità di capire l’uomo e il giocatore. Mi ha detto che alla Virtus posso lavorare tanto e crescere: è ciò che cerco. Ho avuto tante richieste in Italia, ma in questo momento la Virtus è il posto giusto per me. Le categorie contano poco: nel calcio di oggi un attimo sali, quello dopo scendi, per cui non mi sono mai posto il problema di quale campionato giocassi. Avevo perso il sorriso e il piacere di giocare a calcio, ora devo solamente entrare in campo ed essere a me stesso".
Hai mai pensato perciò che avresti dovuto nascere in un’altra epoca?
"Diciamo che questa l’ha ucciso, il numero 10. È un ruolo morto, ma spero che possa rinascere perché rappresenta la bellezza del calcio. Il 10 è il fantasista che porta disequilibrio nella squadra avversaria e soluzioni offensive alla propria. Purtroppo ora, soprattutto in Italia, si vince molto con la tattica e poco con l’estro dei giocatori".
Sei consapevole che questa è l’ultima occasione per ritornare ad alto livello?
"Ci ho pensato, ma ho imparato che nella vita non c’è felicità senza sofferenza. Una combacia con l’altra e te la fa apprezzare ancora meglio. Tutto quello che ho passato mi è servito ed è giusto che sia stato così. Sono un uomo di fede e credo che ogni difficoltà che attraversiamo renda più facile quello che viene dopo".
Chi era Mastour a 16 anni?
"Un ragazzo catapultato nel mondo dei grandi, ma che inseguiva il suo sogno: divertirsi giocando a pallone. Poi il sogno è diventato un lavoro".
E chi sei, dieci anni dopo?
"Un ragazzo più maturo, che mette a frutto nel presente ciò che ha imparato nel passato".
Cosa è rimasto di quel sedicenne?
"La voglia di essere felice giocando a calcio. Non c’è cosa che mi riempia di più dell’essere in campo e toccare il pallone, divertirmi coi miei compagni, vincere. Sono nato per questo".
In arabo il tuo cognome significa “nascosto”. Suona un po’ come beffa, visto che fin da bambino sei stato sotto i riflettori.
"Ho già avuto due vite. La prima è stata frenetica. Sono diventato grande mentre ero ancora piccolo. Questa, la seconda, è quella della rinascita. Mi piacerebbe far capire a tutti che con la dedizione, la forza di volontà, la voglia di non mollare mai, si può ritornare in alto dopo esserci già stati una volta, prima di cadere".
Mi sentivo un supereroe, hai detto. Poi cosa è successo?
"Tantissime cose. Molte non mi hanno aiutato come persona e non hanno giovato alla mia carriera. Sono stato uno dei primi ad arrivare così giovane nella prima squadra di un club come il Milan e uno dei primi a diventare un fenomeno social".
Hai detto: mi sono sentito usato, mi hanno trattato da marionetta.
"Quando l’ho capito e ho detto basta, qualcuno mi ha giurato che non avrei mai più messo piede su un campo di calcio. Non c’è cosa più brutta da dire. Ho sofferto molto, tanto da cadere in depressione".
Lo faresti ancora lo spot con Neymar?
"Sicuro. Cento volte. Ho incontrato il mio idolo, è stato un momento bellissimo".
Al Milan hai giocato con Kakà, Robinho, Balotelli… Una definizione per ciascuno.
"Kakà: maestro. Robinho: fantasia. Balotelli: forza. Kakà mi abbracciava come si fa con un fratello minore, mi aiutò a inserirmi nel gruppo. Con Robinho, in campo, parlavo la stessa lingua. Mi dava consigli, mi diceva di gestire la palla in una certa zona e di puntare l’avversario in un’altra. Mi gasava tantissimo. Di Balotelli ricordo quando, in allenamento, mi disse: “Voglio che tu oggi esci con zero errori. Li conto”".
Il più forte che hai osservato da vicino, compagno oppure avversario?
"Messi è incredibile. Ha una qualità, una velocità di pensiero, un istinto veramente unici".
Provi invidia nel vedere Yamal, che a 17 anni è quel che potevi essere tu alla stessa età?
"Ognuno ha la sua storia e il suo tempo. Non vedo l’ora di giocarci contro. O magari insieme".