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CALCIOMERCATO24 apr 2025, 11:00
Ultimi aggiornamenti: 26 giu 2025, 19:15

Tudor parla di cattiveria, ma alla Juventus manca anche carattere. Con chi ce l'aveva il tecnico

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Ci sono parole che sembrano pesare più del risultato. Igor Tudor, dopo la sconfitta contro il Parma, ha usato toni che sanno di resa a metà e di sfida a metà. Una conferenza post-partita più amara che arrabbiata, ma attraversata da un filo rosso che unisce ogni frase: la delusione. E sotto la delusione, un messaggio chiaro - anche se non gridato - indirizzato a chi, in campo, avrebbe dovuto fare la differenza. “È mancato tutto”, ha detto. Ma a ben guardare, ciò che è mancato davvero, secondo lui, è la cattiveria. Quella che Tudor aveva invocato dal primo giorno. Quella che doveva diventare l’identità della sua Juventus. E allora si torna alla domanda di fondo: con chi ce l’aveva, davvero?

I DESTINATARI - La risposta è meno sfumata di quanto sembri. Ce l’aveva con i suoi uomini d’attacco, in particolare con Kolo Muani, Vlahovic e (almeno in parte) con Nico Gonzalez. Tutti e tre titolari, tutti e tre in difficoltà, tutti e tre incapaci di incidere. “Abbiamo messo 20 palloni in area e non abbiamo fatto niente”, ha detto il tecnico. “Manca il piglio di andare per fare gol, non solo per esserci”. Non è un’accusa urlata, ma una constatazione tagliente. Quasi chirurgica. E non riguarda solo la prestazione tecnica - nessuno ha sbagliato il rigore decisivo, nessuno ha commesso un errore da copertina - ma l’atteggiamento, quello che Tudor considera il primo mattoncino per costruire una squadra vera. Se butti la palla in area venti volte e nessuno si sporca le mani (o la maglia) per andare a prenderla, qualcosa si rompe. Non nello schema, ma nello spirito.

CAMBI OK - Il bersaglio non sono Yildiz e Conceicao, entrati più tardi con un’energia diversa, almeno dal punto di vista dell’intenzione. Quella, per Tudor, vale quasi più di un assist. Il calcio, nella sua visione, è un campo di battaglia prima ancora che una lavagna tattica. E in questo momento, sembra dire, i suoi titolari non stanno combattendo abbastanza. Le parole del tecnico non suonano come un processo, ma nemmeno come una carezza. Sembrano più una scossa a freddo, un tentativo di risvegliare chi, nelle sue gerarchie, dovrebbe essere decisivo. Una sorta di “o vi svegliate o vi svegliano”.

IL RIFERIMENTO AL PARMA - Il riferimento al Parma è utile solo in apparenza: “Loro buttano la palla, fanno a sportellate, segnano così. Noi no”. Ma non è un elogio alla semplicità. È un richiamo alla concretezza. Tudor non chiede alla Juventus di diventare il Parma. Ma pretende che, quando serve, sappia diventarlo. Almeno per un quarto d’ora, almeno dentro l’area. Perché le partite non si vincono solo con le idee: “Non con schemi e combinazioni - ha detto - ma con altro”. Con fame. Con coraggio. Con il corpo prima ancora che con la testa.

CREPA - In fondo, questa non è solo una sconfitta. È una crepa. Non irreparabile, ma significativa. Perché infrange una narrazione che stava già nascendo: quella delTudor risolutore”. Il tecnico croato aveva portato con sé un vento nuovo, un’aria di svolta. Ma il vento, da solo, non sposta la montagna. E allora, sì, la Juventus va avanti. Cinque partite, tanti punti. Ma ora l’illusione iniziale è finita. E Tudor lo sa. Adesso comincia il difficile: non farsi dimenticare prima ancora di essere capito.

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