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  • Petar Radakovic, il cuore dell'idolo di Rijeka

    Petar Radakovic, il cuore dell'idolo di Rijeka

    • Remo Gandolfi
      Remo Gandolfi
    E’ il 10 giugno del 1962. All’Estadio Nacional di Santiago del Cile si stanno giocando i quarti di finale della competizione.
    Di fronte Jugoslavia e Germania Ovest.
    I tedeschi sono i chiari favoriti.
    Non solo perché tra le loro fila ci sono calciatori di livello mondiale come il centravanti Uwe Seeler, il centrocampista Helmut Haller e il difensore Karl-Heinz Schnellinger (questi ultimi in procinto di arrivare in Italia con Bologna e Mantova) ma anche e soprattutto per quanto fatto vedere nel girone di qualificazione, chiuso con due vittorie e un pareggio.
    Una delle due vittorie è arrivata contro i padroni di casa del Cile, che nonostante l’evidente aiuto di un arbitraggio favorevole nulla hanno potuto contro la potente e organizzata corazzata tedesca.
    La Jugoslavia però è tutt’altro che una squadra mediocre.
    In attacco ha due giocatori eccellenti come Dražan Jerković (uno dei pochissimi nella storia del calcio a trionfare nella classifica marcatori sia di un Europeo che di un Mondiale) e del giovanissimo Josip Skoblar, futura gloria dell’Olympique Marsiglia.
    Ma anche il resto della squadra ha grandi qualità.
    Dragoslav Šekularac, bandiera della Stella Rossa di Belgrado, è il regista della squadra mentre la difesa è imperniata su Fahrudin Jusufi, colonna del Partizan.
    La partita è estremamente equilibrata e se nel primo tempo si assiste ad una leggera supremazia teutonica nella ripresa è la Jugoslavia che “fa la partita” e crea occasioni in serie.
    Wolgfang Fahrian, il portiere tedesco, si dimostra però all’altezza e dove non arriva lui arrivano i suoi difensori che un paio di volte riescono a salvarsi con miracolosi salvataggi sulla linea di porta.
    Mancano ormai solo cinque minuti alla fine quando sulla destra scende Milan Galic, il capitano dei “plavi”. Il suo cross, diretto verso il centro dell’area, viene deviato da un difensore tedesco con il pallone che sfila verso il limite dell’area, troppo arretrato per Jerkovic e Skoblar.
    C’è però un altro calciatore jugoslavo che ha seguito l’azione.
    Gioca con il numero “4” e la sua zazzera bionda è facilmente riconoscibile.
    Si chiama Petar Radakovic, ha venticinque anni ed è l’idolo assoluto del Rijeka dal quale, nonostante le richieste dei principali club della capitale, non si è mai mosso preferendo rimanere nella sua amata Fiume.
    Il suo tiro al volo è semplicemente perfetto.
    E’ potente e preciso e si va ad insaccare sotto la traversa di Fahrian, che quasi non accenna neppure alla parata.
    Sarà il gol della vittoria, quello che porterà gli uomini del duo Mihailovic-Lovric nella semifinale di un campionato mondiale.
     
    Sono passati poco più di quattro anni da quello storico e indimenticabile giorno.
    “Pera” Radakovic ha continuato a giocare con il “suo” Rijeka rimandando sempre al mittente le richieste di Stella Rossa, Partizan, Hajduk e di tutte le principali squadre jugoslave.
    Anche motivato dal fatto che dopo anni di piazzamenti di metà classifica nella massima serie del campionato jugoslavo sono arrivati nelle stagione 1964-1965 e in quella successiva, 1965-1966, due eccellenti quarti posti che rappresentano i migliori piazzamenti nella storia del Club croato.
    Il suo contributo nelle ultime stagioni però non è stato quello desiderato.
    Durante una tournèe in Germania nella primavera del 1963 emergono per l’ala destra del Rijeka problemi cardiaci.
    “Pero” si sente spesso spossato, privo di energie e costretto a chiedere la sostituzione anche solo dopo mezzora di gioco come accade nel match contro il Norimberga.
    Viene messo a riposo, vengono fatte tutte le possibili diagnosi e conseguenti cure possibili per l’epoca.
    Pare che il problema sia rientrato.
    Per quasi due anni riesce a giocare con continuità, contribuendo alla continua ascesa dei “bijeli” i “bianchi”, il soprannome del club dato dal colore delle maglie.
    Ad inizio primavera del 1965 però è costretto a fermarsi ancora.
    Gli sforzi per continuare l’attività agonistica sono superiori a quello che il suo cuore gli permette.
    Radakovic si ferma per tre mesi e torna solo per l’ultima di campionato, contro la Stella Rossa di Belgrado.
    Stavolta però si è arrivati proprio al limite.
    Terminato il match viene ricoverato in terapia intensiva e per qualche giorno la sua vita è in pericolo.
    Con il calcio deve chiudere.
    Non ci sono alternative.
    “Pero” si ferma. Pare definitivamente.
    Invece no, non ne vuole sapere.
    Passa un anno lontano dai campi ma svolge tutta la preparazione prima della stagione 1966-67.
    In quella precedente il suo Rijeka è arrivato al quarto posto e sono in molti quelli convinti che con il recupero di Radakovic possa arrivare l’ultimo, definitivo salto di qualità: quello che vedrebbe i “bianchi” lottare per il titolo.
    Il primo incontro della stagione è al Kantrida, lo stadio di Rijeka così particolare e suggestivo con le rocce su una parte e la splendida vista sull’Adriatico dall’altra.
    I tifosi sono felici di riabbracciare il loro eroe.
    Il Rijeka batte per due reti a zero lo Željezničar in quello che sembra un preludio ad una grande stagione.
    “Pero” gioca senza problemi anche la seconda partita, quella in trasferta a Belgrado contro il Partizan ma alla terza, quella interna con l’Hajduk, il problema si ripresenta in maniera importante.
    Petar Radakovic riesce a malapena a correre ed è costretto a chiedere il cambio dopo una manciata di minuti.
    E’ il 4 settembre del 1966.
    «E’ solo un giorno storto» dirà “Pera” a fine partita.
    «Ormai ci sono abituato. Il mio cuore fa un po’ il matto ma poi tutto torna a posto» dirà ai medici del Rjieka e a quelli che da tempo lo seguono e che ci provano in tutti i modi a dissuaderlo da continuare l’attività sportiva.
    Passano poche settimane e Radakovic riprende ad allenarsi.
    E’ il primo novembre.
    I giocatori stanno arrivando al campo alla spicciolata per l’allenamento.
    In attesa dell’inizio alcuni di loro stanno facendo il classico “torello”.
    Due in mezzo a cercare di intercettare il pallone che gli altri si passano.
    In mezzo in quel momento c’è anche Radakovic.
    Prova ad intercettare il pallone ma poi si ferma improvvismanente. Si fa sostituire da un compagno e si va a stendere sul prato per recuperare le energie.
    Alfredo “Bobi” Otmarich, il leggendario massaggiatore dei “bianchi”, si accorge che c’è qualcosa che non va.
    Richiama l’attenzione di  Dorđe Mugoša, compagno di squadra di Radakovic che è appena arrivato con la sua auto all’allenamento.
    Caricano Petar e corrono verso l’ospedale.
    «Non facemmo in tempo. Il nostro grande “Pero” mi morì tra le braccia» ricorda lo stesso Otmarich.
    Il giorno dopo, al suo funerale, ci saranno 15 mila persone ad accompagnare colui che rimane a tutt’oggi il giocatore più leggendario, amato e al contempo fedele del HNK Rijeka.
     

    ANEDDOTI E CURIOSITA’
    Della sua situazione Petar Radakovic era perfettamente al corrente
    . Sapeva benissimo che ogni partita ed ogni allenamento erano un grosso rischio per la sua salute.
    «Giocare a calcio, condividere una vittoria, il calore e gli applausi della gente ... no, non posso rinunciare a nulla di tutto questo»
    Era quello che “Pero” ripeteva in continuazione a chiunque ... medici compresi.
     
    Il suo gol che valse la semifinale ai Mondiali del Cile del 1962 per la Jugoslavia non fu certo un episodio isolato durante la competizione.
    Le prestazioni di Radakovic fecero si che alla fine fu inserito da molti osservatori nell’11 ideale del Mondiale, vicino a nomi come Garrincha, Masopust, Voronin, Vavà e il nostro Cesare Maldini.
     
    E’ il bomber Josip Skoblar a raccontare l’azione del gol decisivo contro la Germania Ovest in quei mondiali.
    «Quando arrivò il pallone di Galic in aerea io stavo arretrando per andarlo a colpire in girata. Vidi con la coda dell’occhio arrivare “Pera” che si notava facilmente non solo per i capelli biondi ma anche per una benda in testa che gli misero dopo uno scontro di gioco» racconta “Josko”, vincitore di tre classifiche dei cannonieri nel campionato francese per tre stagioni consecutive.
    “Lasciala!” mi gridò il mio compagno di squadra.
    «Non era mia abitudine lasciare ad altri palloni così invitanti ma lui, così sempre pacato e tranquillo, me lo gridò con tutto il fiato che aveva in corpo. Decisi di lasciargli quel pallone ... e fu una delle decisioni più azzeccate della mia vita di calciatore!»
     
    Sulle qualità tecniche di Radakovic sono tutti d’accordo.
    Giocatore che amava giocare sulla fascia destra e che pur non essendo rapidissimo aveva una grande intelligenza tattica e molta abilità nei passaggi.
    Oggi sarebbe considerato un giocatore “box to box” vista la sua abilità sia in fase difensiva, nella costruzione del gioco e anche negli inserimenti. 
    Era anche dotato di un ottimo tiro come dimostrano i suoi 68 gol in 408 partite ufficiali.
     
    Ma è sulle qualità umane che in molti si soffermano e lo ricordano con grande affetto.
    Di una umiltà sorprendente, sempre estremamente pacato e sereno.
    «Era sempre cordiale di buon umore ed era facilissimo vederlo fermarsi a parlare con tifosi e gente comune» è il ricordo di Mile Tomljenović, suo compagno di squadra.
     
    L’entusiasmo collettivo scaturito dal gol contro la Germania Ovest ai Mondiali in Cile fu di grande portata.
    Oltre ai rituali festeggiamenti, ai brindisi e all’euforia sui quotidiani dell’epoca ci fu addirittura una squadra fondata in quei giorni in Erzegovina che prese il nome proprio di “Radakovic”!
     
    Infine, è proprio Mile Tomljenović ad esprimere un concetto decisamente triste e per certi versi sorprendente vista la popolarità e l’amore degli abitanti di Rijeka verso “Pero”.
    «A Rijeka non gli è stato intitolato nulla. Non lo stadio e neppure una strada. Questo non è giusto nei confronti di uno come lui che a Rijka e al Club ha dedicato tutta la sua breve vita».
     
    In parte ci ha pensato la frangia più calda della tifoseria del Rijeka, chiamati “Armada” che attraverso uno di loro, Eduardo Filipović, ha creato uno splendido “murales” nei pressi della “Kantrida Athletic Hall”.
    ... in attesa di qualcosa di più grande, importante e degno dell’indimenticato Petar Radakovic.
     

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