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  • Bernardini: Juve e Inter, perchè vi amo

    Bernardini: Juve e Inter, perchè vi amo

    Domenica 16 aprile 1960. L’astronauta sovietico Yuri Gagarin gira sulle nostre teste. E’ il primo uomo che sfida il cielo. Prima di lui era toccato a Laika che, lassù, era passata dalla Terra al paradiso dei cani in nome della scienza. Amen. Io vado allo stadio con papà. A piedi, mano sinistra nella sua e bandiera bianconera ben stretta nell’altra. Cè Juventus-Inter. Tanta roba. Ho tredici anni e gioco con le figurine della Panini. Ne manca una per completare l’album.  Quella di un argentino che di cognome fa Angelillo. E’uno dei tre angeli dalla faccia sporca. Li avevano ribattezzati così, nel loro Paese. Gioca nell’Inter il cui allenatore è una sorta di stregone moderno che fisicamente sembra un ballerino di tango, Helenio Herrera detto HH. Gli altri due angeli sono Humberto Maschio, finito all’Atalanta, e Omar Sivori (foto Wikipedia) il profeta della mia Juventus. Sono mesi che cerco di avere la figurina di Angelillo dalla macchinetta del tabaccaio: dieci lire per tre tentativi. Sempre a vuoto. Un mio amico ne ha una doppia e mi ricatta. Per averla gli dò in cambio un gioiellino di automobilina della Dinky Toys ricevuta in dono a Natale. Una “cinquecento” rossa. Mi sanguina il cuore, ma lo faccio. La mattina, dopo lo scambio osceno, dalla macchinetta infernale cosa esce? Angelillo, naturalmente. Sembra dunque l’inizio di una giornata sfigata. Odio il mio amico di giochi, odio Angelillo e odio l’Inter. 

    Un gelato prima di entrare allo stadio. Nel bar di Muccinelli un piccoletto toscano che, in bianconero come ala, era stato l’idolo di papà. I giocatori allora, quando smettevano, si erano messi via i soldi per aprire piccole attività commerciali. Un bar speciale dove si diceva che Omar Sivori  la notte facesse le ore piccole giocando a poker. E non era una leggenda metropolitana. Io con la mia bandiera in mezzo ad altri con addosso sciarpe nerazzurre. “Per favore, mi fai passare?” “Certo, mi tolgo subito”. “Viva l’Inter”. “Forza Juve”. Tutto qui. Si faceva tifo “per” e non “contro”. Nei distinti centrali i tifosi delle due squadre convivevano pacificamente. Al massimo sani sfottò per novanta minuti. La Juve-Inter di quella domenica è davvero speciale. Staccata di un punto in classifica la mia Juve deve vincere per volare verso lo scudetto. Mai viste tante bandiere allo stradio. Troppe. Come il numero degli spettatori senza biglietto che a dieci minuti dal via sfondano i cancelli del Comunale e entrano in massa. Lo stadio scoppia, letteralmente. Non basta. Si scatena un temporale inaudito e dal cielo viene già acqua a cascata. Nessuno si scoraggia e va via. Comincia la partita e subito Sivori attacca a provocare da lontano l’odiato Helenio. Dieci minuti appena. Saltano le recinzIoni  e a migliaia si riversano lungo la linea bianca del campo. Alcuni si vanno e sedere accanto alla panchina nerazzurra. L’arbitro Gambarotta prima sospende e poi annullala gara. Penso, mentre papà mi tiene forte per mano: lo sapevo che era una brutta domenica. Tutti a casa, dunque. Fuori, ciascuno per i fatti suoi. Manco più gli sfottò. Nel casino io ho perso anche una scarpa. Continua a piovere da matti. Un signore, con una ragazzina più o meno della mia età per mano e una sciarpa nerazzurra al collo, ci vede in difficoltà. “Se volete posso accompagnarvi a casa. Ho la macchina qui vicino. Nessun disturbo, per carità. Tanto abbiamo tempo per tornare a Milano”. Finimmo in un bar del centro a prendere una cioccolata con panna. La figlia del tifoso interista si chiamava Angela. Ci incontrammo in estate, a Finale Ligure. Ci baciammo. Il primo bacio serio. La mia prima fidanzatina. La mia grande e piccola storia d’amore che durò quanto il 45 giri di “Legata a un granello di sabbia”. La cantava Nico Fidenco. Non so che fine abbia fatto, Angela. Ma, grazie a un Juve-Inter mai giocata, sono stato così felice…Il calcio, per fortuna, è anche questo: un cofanetto di rìcordi preziosi. Non permettiamo e nessuno di rubarcelo.

    Marco Bernardini

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