Buio a San Siro, si è spento David Bowie
Con Bowie, infatti, se ne va mezzo secolo di arte allo stato puro spalmata su terreni diversi eppure ciascuno destinato alla crescita culturale e spirituale di tutti coloro provvisti di ottima vista, di buon orecchio e anche di quel “terzo occhio” che, quando lo si possiede, ci rende tutti più vicini al cielo che non alla terra. Musica, teatro, cinema, pittura, letteratura, impegno sociale. Non vi era settore di attività intellettuale che il “Duca Bianco” non avesse avuto modo di frequentare e di farlo sempre con successo. Normale, forse addirittura un poco sotto il minimo sindacale richiesto, si rivelò quando da ragazzino provò a scendere sul campo di pallone con la maglia del Burnt Juniors (nella foto è il primo a sinistra della fila centrale). Nulla di che, sicchè meglio lasciar perdere. Altri sarebbero stati i rockers britannici abilmente e calcisticamente accettabili come Rod Stewart, Phil Collins e Paul McCartney. Eppure se c’è stato, a cavallo del Novecento, un autentico “re degli stadi” il suo nome è quello di David Bowie.
Immagino e precedo, cari amici della Rete, alcune vostre vostre puntualizzazioni. Una, soprattutto. Perché ci piace dedicare spazio e tempo ad una figura che con la testata del nostro (e vostro) sito ha poco o nulla a che vedere. Ma, nel caso specifico di Bowie, sento il bisogno di andare oltre. Intanto perché se ne è andato un autentico fuoriclasse. Una categoria di persone e di personaggi il cui valore assoluto deve venir valutato a prescindere. Voce per cantare, gestualità per danzare, istrionismo per recitare, fantasia e linguaggio per scrivere, piedi per domare un pallone. Nessuna sostanziale differenza quando l’esito è positivo. I campioni, quelli veri e sono così pochi, meritano la celebrazione comunque. Bowie poi, come dicevo, fu uno tra i primi a trasformare gli stadi del calcio di tutto il mondo in immense cattedrali a cielo aperto dove era la musica a governare e a dirigere intere moltitudini. Le stesse che si ritrovano per una partita di pallone. Gli ottantamila sotto le luci di San Siro, il 10 giugno 1987, fanno già parte della storia. Quella che, in seguito, soltanto Vasco Rissi riuscirà a scrivere con tale intensità emotiva popolare. Ecco perché, questa sera almeno, il Meazza dovrebbe rimanere comunque al buio in omaggio alla stella spenta. Ma non basta. Lo stadio, un qualunque stadio, quando viene destinato ad un concerto è luogo sublime di compattezza, di solidarietà e di fratellanza. Si canta, ci si emoziona, si ride, si piange tutti insieme, senza barriere e né beceri antagonisi.. La musica, come l’arte in genere, è motivo di coesione.
Il calcio, spesso, divide gli sciocchi. Così il mondo intero, non solo quello dello spettacolo, si toglie il cappello a fronte della partenza del “Duca bianco” con destinazione le sue sorelle della Via Lattea. Quella parte di universo da dove, forse, era arrivato tanto che in un film interpretò fatalmente il protagonista ne “L’uomo venuto dalle stelle”. Rimangono suo figlio e la moglie Iman sposata nel 1992 e mai lasciata contrariamente alla tendenza delle del rockstar. Forse anche per questo lo stesso Vaticano ha inviato un messaggio ufficiale di cordoglio alla famiglia di Bowie. Del resto anche gli angeli, qualche volta, fanno il rock.