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  • Calciopoli, la Juve pensa alla revisione del processo sportivo

    Calciopoli, la Juve pensa alla revisione del processo sportivo

    Le motivazioni della sentenza: Moggi inchiodato dalle sim estere. Ancora dubbi sulla gestione dell'inchiesta.
    "Calciopoli, una verità parziale".
    Il processo di Calciopoli racchiuso dentro un percorso di 561 pagine. Tante ne ha scritte il collegio giudicante della nona sezione penale del tribunale di Napoli per spiegare i perché delle condanne in primo grado di Luciano Moggi e degli altri, più o meno grandi, accusati: l’utilizzo delle sim svizzere è la principale colpa, la parzialità investigativa di chi ha costruito e portato avanti l’inchiesta è la bacchettata, nemmeno tanto velata, dei giudici agli inquirenti.

    Le motivazioni del processo al calcio italiano per la pagina nera dello scandalo più fragoroso hanno un filo conduttore e un punto di partenza. Di «reato di tentativo di frode sportiva...» si parla più volte nell’atto perché «questo non ha necessità della conferma, che il dibattimento in verità non ha dato, del procurato effetto di alterazione del risultato finale del campionato 2004/05 a beneficio di questo o quel contendente...». Pericolo di frode, dunque. Non frode compiuta o concretizzata, ma, comunque, tale da configurare un reato penalmente rilevante: questa la ragione delle condanne per Calciopoli. Luciano Moggi ne è stato il gran capo, promotore dell’associazione a delinquere in quanto, si legge, «vengono in rilievo gli incontri con i designatori fuori dalle sedi istituzionali e in prossimità delle partite, a casa Pairetto (più volte, ndr), a casa Giraudo, a casa Bergamo...viene in rilievo il ben più pregnante e, nella visione del tribunale, decisivo, elemento dell’uso delle schede straniere, delle quali è risultata la disponibilità procurata da Moggi a designatori e arbitri...viene in rilievo il continuo e prolungato chiacchierare sulla rete telefonica nazionale che, ad avviso del collegio, effettivamente può configurare la trasmissione del messaggio potenzialmente idoneo a spingere i designatori, e talora anche gli arbitri, a muoversi in determinate direzioni piuttosto che altre...». Moggi, secondo il collegio, è il gran capo della cupola anche per i «suoi rapporti disinibiti con i rappresentanti della Figc» e vista la sua capacità di incutere negli altri «timore reverenziale nei suoi confronti» come nel caso dell’arbitro Paparesta.

    Moggi promotore unico dell’associazone a delinquere, dunque. Ma dalle 561 pagine di motivazioni i giudici fanno emergere crepe nell’impianto accusatorio ed investigativo che faranno discutere. Per il collegio «le vicende del campionato 2004/05 sono state vagliate dall’accusa con parzialità per correre dietro soltanto ai misfatti di Moggi...». Un duro colpo di assestamento all’impianto inquirente, da sempre pronto a rispedire al mittente ogni ipotesi sull’allargamento delle responsabilità anche a soggetti, comunque, fuori dal processo. Parziale, l’inchiesta.

    Incomprensibile l’accusa quando, secondo il collegio presieduto dal presidente Teresa Casoria, «si è ostinata a domandare di sfere che si aprivano, sfere scolorite ed altri particolari» in quanto «il sorteggio non è taroccato» perché l’influenza di Moggi sul mondo arbitrale, sempre per i giudici, avvenica a livello di composizione di griglie arbitrali e non, appunto, nel momento di sorteggiare quel singolo fischietto per quella determinata partita.

    Calciopoli, adesso, si prepara all’appello. Dai quartier generali delle difese dei condannati in primo grado il pensiero è lo stesso. «Con queste motivazioni, la sentenza si può ribaltare...», dicono. E, la Juve? Le 561 pagine consegnate venerdì dalla Casoria in cancelleria e rese note ieri danno forza alla strategia del club bianconero, pronto ad accelerare la calendarizzazione dell’udienza al Tar del Lazio (a settembre il verdetto) dove la Juve si è rivolta chiedendo 444 milioni di euro di danni alla Federcalcio. Moggi, condannato a cinque anni e quattro mesi, è stato il gran capo della cupola che ha pilotato il campionato 2004/05 senza, però, alterarlo: questo dicono i giudici. Per l’accusa e gli investigatori non sono mancati inaspettati cartellini rossi.

    Per il giudice "rotto il rapporto organico di Moggi con il datore di lavoro".
    Calciopoli, la Juve pensa alla revisione del procedimento sportivo.
    Certa che faranno comodo nella causa contro la Federcalcio e, chissà, nella richiesta di revisione del processo sportivo, ieri la Juve s'è annotata le motivazioni del tribunale di Napoli. Quello che aveva condannato Luciano Moggi, ma assolto da responsabilità civile il club bianconero. Bignamino del provvedimento: il taroccamento del campionato 2004/05 non è stato provato, e le sue vicende sono state analizzate «con parzialità». Guardando con occhi juventini, la dimostrazione che non ci fu quella parità di trattamento davanti alle regole sempre invocata dal presidente Andrea Agnelli.

    Ieri la Juve s'è sigillata la bocca, non il cervello: quelle righe sono un bel sostegno alla richiesta danni da oltre 443 milioni di euro contro la Federcalcio davanti al Tar del Lazio e, forse, ce n'è abbastanza per chiedere di rifare il processo sportivo che nel 2006 requisì due scudetti al club, spedendolo in serie B, a meno nove. Quest'ultima era eventualità remota, invece da ieri un'occhiata all'articolo 39 del codice di giustizia sportivo, quello della revisione, la Juve la darà. Altro punto finito nel dossier bianconero: Lucianone non era la Juve, e dunque le sue colpe non ricadono sulla società. Per i giudici penali, «il rapporto organico con il datore di lavoro» era rotto, a causa «dell'esercizio da parte dell'imputato Moggi di un potere personale avente manifestazioni esteriori esorbitanti dall'appartenenza alla società, noto come tale ai competitori, messi infatti in allarme, così come ampiamente dimostrato dagli atti del processo».

    Una «frattura» che ricalca, quasi passo a passo, la memoria difensiva del club, firmata dagli avvocati Giuseppe Vitiello, Luigi Chiappero e Michele Briamonte, che da anni coordina la strategia legale della società. «Andremo fino in fondo», aveva avvertito Agnelli fin dal luglio scorso, quando scoppiò la guerra per la revoca del titolo 2006, requisito alla Juve e consegnato all'Inter. E ora, nell'analisi juventina, la sentenza e le motivazioni del processo napoletano a Calciopoli hanno sconfessato le decisioni sportive contro i bianconeri. Detto brutalmente: giudici dello Stato hanno stabilito che il club non è responsabile civile per le condotte di Moggi, quelli della Figc hanno invece detto l'opposto. Con quella responsabilità oggettiva che tanto somiglia agli obblighi del responsabile civile. «L'obiettivo è fare danno a chi ci ha fatto danno e andremo avanti sino a quando ci saranno strade legali percorribili», aveva detto Briamonte. Da ieri, oltre che percorribili, quei sentieri alla Juve paiono anche un po' più in discesa.


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