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  • Dall'Abatino al Pupone, tutto il calcio soprannome per soprannome

    Dall'Abatino al Pupone, tutto il calcio soprannome per soprannome

    I numeri hanno la buona abitudine di non mentire. Un'informazione puntuale e attenta non può farne a meno. Senza numeri il racconto dello sport, le ipotesi di riforma, persino gli impietosi confronti con realtà meno disastrate della nostra si ridurrebbero a sterili esercizi di stile, a sagre del luogo comune, a chiacchiere da bar fondate sul nulla.

    Eppure il calcio mantiene, nonostante tutto, una sua dimensione romantica e guascona, che non ha bisogno di statistiche, classifiche e diagrammi. Lo sanno bene Nicola Calzaretta e Furio Zara, che con L'abatino, il pupone e altri fenomeni. Tutto il calcio soprannome per soprannome (editore Rizzoli, pp. 395, € 14) hanno realizzato una divertente storia alternativa del calcio italiano, scegliendo come filo conduttore la fantasia, a volte affettuosa e a volte sadica, con cui giornalisti, allenatori e tifosi si sono sbizzarriti all'indirizzo di eroi, mestieranti e meteore del pallone.

    Qualcuno, anzi, deve anche al proprio soprannome se è passato direttamente dalla cronaca alla mitologia, senza transitare dalla storia. è il caso del brasiliano Andrade, detto Er Moviola per via di una lentezza esasperante e irrimediabile, o di Jürgen Klinsmann, che all'Inter entrò da Papa (e difatti lo chiamavano, sulla fiducia, Kataklinsmann) e ne uscì da curato di campagna (la Pantegana Bionda), o di un altro ostinato collezionista di errori sotto porta, Calloni, manzonianamente ribattezzato lo Sciagurato Egidio da quel geniaccio di Gianni Brera.

    Ed è proprio all'inventiva del Grangiuàn, come lo chiamava Giovanni Arpino, che dobbiamo trovate come Rombo di Tuono (Gigi Riva), Schopenhauer (Osvaldo Bagnoli). Il divino scorfano (Maradona). El pibe de oro, del resto, è stato tirato in ballo in più di un paragone da querela: il Maradona dei Carpazi (Hagi), del Bosforo (Emre), del deserto (Saeed Al-Owairan), di Ostravia (Milan Baros) e persino delle Ande (il misconosciuto peruviano Roberto Merino). E se con Mario Corso si chiamava in causa, non senza qualche ragione, direttamente il Padreterno (il piede sinistro di Dio), soltanto una sottile perfidia, un eccesso di ottimismo o una sbronza colossale possono giustificare iperboli quali il Cruijff dei vulcani (l'islandese Bjarnason), il Keegan della Brianza (così Liedholm definì Ugo Tosetto) e, tenetevi forte, il Gattuso svizzero (il mediano Hochstrasser).

    Valerio Rosa
     

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