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  • Ex Inter Hector Cuper minacciato dalla camorra per una combine andata male

    Ex Inter Hector Cuper minacciato dalla camorra per una combine andata male

    Hector in trappola. Lo hanno braccato fin dentro gli spogliatoi, i camorristi. Rincorrendolo lungo il tunnel che porta sul campo verde, urlandogli quello che un hombre vertical mai vorrebbe sentirsi dire: che è un truffatore, un poco di buono. Che ha incassato i soldi sporchi del clan in cambio di soffiate fasulle. Quei criminali non scherzavano, quel giorno, nello stadio del Racing Santander. E pure Hector l'aveva capito.

     
    La camorra scommette (e perde) sulle partite sbagliate 
    Hector Cuper è indagato dalla Dda di Napoli per riciclaggio e per associazione per delinquere finalizzata alla frode sportiva. Avrebbe intascato 200mila euro in contanti, da parte dei broker del clan D'Alessandro (famiglia malavitosa di Castellammare di Stabia, nel Napoletano) per rivelare i risultati combinati di due partite della Liga Spagnola e della serie A argentina dei campionati 2006/2007.
     
    Match che poi sarebbero terminati diversamente da quanto previsto dall'ex tecnico dell'Inter, provocando l'ira dei boss della camorra danneggiati sul piano economico dalla mancata vincita e dalle ingenti risorse puntate e su quello dell'immagine dalla figuraccia con le altre organizzazioni criminali.
     
    Il clan voleva ricattare l'ex tecnico dell'Inter 
    La prima volta che l'allenatore sudamericano incontra gli emissari del clan D'Alessandro è nella sua abitazione spagnola. Prende i soldi e consegna un foglietto su cui sono annotati i risultati combinati. Probabilmente, un errore di comunicazione tra i «messaggeri» in Spagna e i criminali rimasti a Napoli manda all'aria la giocata. Ma gli errori non sono previsti in terra di mafia. Il boss non vuole sentire ragioni.
     
    Già pregustava una ricca e facile vincita al banco, si trova invece quasi sul lastrico. E punta l'allenatore del Racing Santander come farebbe un toro durante una corrida contro il matador. Gli manda sotto per ben due volte i suoi «picchiatori» migliori. Con un ordine preciso: farsi restituire i soldi, senza andare troppo per il sottile. Insomma, da hombre vertical a hombre horizontal se necessario.
     
    E se le minacce non fossero state sufficienti, sarebbe partito il ricatto. I camorristi napoletani registrano di nascosto i colloqui con il mister, rinfacciandogli il tradimento. A questo punto la storia s'intreccia con le indagini della Direzione distrettuale antimafia di Napoli: i pm Filippelli e Siracusa e il procuratore aggiunto Cantelmo già da qualche tempo stanno monitorando le linee hot degli scommettitori e dei camorristi stabiesi. Una mossa che si rivelerà vincente.
     
    Le minacce negli spogliatoi del Racing Santander 
    L'ultimo (e più drammatico) incontro tra Cuper e i malviventi napoletani avviene nel tunnel dello stadio del Racing Santander, la squadra allenata dal tecnico sudamericano. I camorristi napoletani inseguono il mister fin quasi sul campo di gioco. Cuper, davanti ai giocatori e alla terna arbitrale, cerca di reagire come può: «Non so chi siete, non vi conosco... che cosa volete da me?».
     
    Il messaggio del clan arriva forte e chiaro, e Cuper lo comprende perfettamente: non avrà pace finché resterà in Spagna. Per alcune settimane ritorna in Argentina, dove i camorristi non hanno agganci e amicizie in grado di portarli alla tana del loro uomo. Nel frattempo, i malavitosi commettono l'errore di parlare della vicenda al telefono. I carabinieri del nucleo investigativo di Torre Annunziata (comandati dal tenente colonnello Conforti e dal capitano Amadei) ascoltano in diretta. 
     
    Al ritorno in Italia degli «emissari» della cosca, i militari li fermano e sequestrano il registratore digitale che contiene le prove degli incontri con Cuper. Dentro ci sono tre files. Arriva l'avviso di garanzia. Il tecnico che amava incitare i suoi giocatori battendo la mano sul cuore lascia la Spagna e approda in Turchia. E ai pm che lo interrogano ammette: «È vero, ho preso quei soldi. Ma erano destinati a mia suocera...».

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