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  • Higuain-Juve: il tradimento pianificato

    Higuain-Juve: il tradimento pianificato

    • Pippo Russo
    Storie d’amore con calcolatrice. Ogni estate ha i suoi tradimenti, e nel calcio ancora di più. Perché in questo campo le passioni sono più viscerali che altrove, e perché possiamo dare a questi tradimenti una misura venale immediata quando invece altrove bisogna questionare sul minimo centesimo d’indennizzo. Quanto vale rescindere il nostro amore infranto, baby? Chiamo un attimo Mino e te lo so dire, cicci. Viene da dire che sarebbe splendida cosa se funzionasse in modo così immediato anche nella vita coniugale. E invece nel calcio, dove funziona così da mò, si continua a drammatizzare come se in quel distacco vi fosse il segno dell’irriducibile offesa. Non soltanto a se stessi, e nemmeno soltanto alla propria parte, ma a un intero ordine morale delle cose umane, che da quel momento in poi percepiamo profanato. E non c’è modo di venire a patti con questo modo di vedere, tantomeno di razionalizzarlo. Perché anche il più disincantato dei calciofili, nel momento in cui venisse toccato nella fede e negli affetti, precipiterà dentro questo stato d’animo. E griderà al tradimento, usando una parola così intensamente drammatica e molto demodé.

    Prendete il tradimento dell’estate 2016, quello consumato da Higuain ai danni del Napoli. Visto dall’esterno, trattasi d’una semplice transazione di mercato. Per di più, resa possibile dalla fissazione di un accorgimento contrattuale come la clausola rescissoria, che in questo senso è tradimento pianificato. Nel momento stesso in cui il club e il calciatore la firmano, sanno che l’arrivo di un terzo incomodo può interrompere il sodalizio e senza nemmeno doversi guardare in faccia. Non tradimento, ma trading. Gli affari sono affari, e anche il tradimento pianificato fissato tramite clausola ha a monte una transazione. Perché se la clausola è alta, significa che il club ha dovuto largheggiare nell’ingaggio concesso al calciatore per ottenerla; se viceversa è bassa rispetto al valore del calciatore, magari è perché questi ha voluto mantenere un po’ più basso anche l’ingaggio per garantirsi una via di fuga facilitata. Come vedete, stiamo parlando il linguaggio del calcolo economico e dei costi di transazione. Linguaggio che appartiene a un campo dove le violazioni non vanno inquadrate come “tradimenti”, ma piuttosto come inadempienze o rotture contrattuali. Ciò che non mi pare sia accaduto nei casi di Higuain o di tutti gli altri calciatori che cambiando casacca abbiano suscitato in noi il senso d’essere traditi.

    Ma è inutile stare a filosofare. Ogni campo ha la sua retorica, e il calcio ne possiede una colma di pathos. Perciò continuiamo a gridare al tradimento. Perché vogliamo illuderci che ci sia ancora qualcosa da tradire, intanto che la fredda logica del capitalismo applicata al calcio ha monetizzato pure i voltafaccia, e le stesse sceneggiate dei dirigenti traditi sono altra carne da cannone mediatico. Business al quadrato. Crediamo che i nostri eroi del pallone siano le avanguardie di una fede collettiva, quando invece sono soltanto aziende individuali assoldate per fare andare avanti uno show business. E di quest’illusione ci nutriamo perché non potremmo farne a meno, come fosse un oppio sentimentale che dà un senso al nostro continuare a essere tifosi. Temiamo il tradimento dei nostri idoli, ma in realtà ne abbiamo bisogno per continuare a idolatrare qualcosa. Per idolatrare noi stessi, nell’epoca in cui il calcio continua a mandarci messaggi per dire che potrebbe benissimo fare a meno di noi tifosi, così ostinati a non voler diventare clienti di uno show in cui anche il tradimento è un ingrediente della sceneggiatura.

    @pippoevai

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