Calciomercato.com

  • I gol del secolo (che non avremmo mai visto)

    I gol del secolo (che non avremmo mai visto)

    • Giorgio Burreddu
    «È l'ultima azione, giocatela bene. Avevo visto il compagno togliersi la tuta, pronto a prendere il mio posto. Allora penso: come arriva la palla, calcio; ma sì, un po' come viene; è l'ultima azione e me la devo giocare al meglio. Insomma, arriva giù questa palletta molle e io non ci penso un attimo, faccio la rovesciata, e viene fuori un gol incredibile, un gol che mi porterò dentro per tutta la vita. Bello, no? Avevo uno strappo di tre centimetri, è per questo che dovevo essere sostituito». Hanno storie che non conosciamo. Rimaste fuori dalla grande antologia del pallone e imprigionate in un libro senza copertina. I loro gol sono frammenti di imprevedibile, gesti che non ti aspetti, confinati al solaio di Facebook o al ripostiglio di YouTube. Messi in fondo al calcio di quelli famosi. Come la storia di Simone Mortaro, ventisei anni, che fa mille lavori, gioca in Eccellenza e fa le rovesciate come Ibrahimovic. Ma ce ne sono a centinaia. Il bisogno compulsivo di filmare e fotografare ogni evento ha creato questo grande archivio di gol che non passeranno mai alla storia. Qualche tempo fa, in uno dei suoi interventi ne "La bustina di minerva" sull'Espresso, Umberto Eco rifletteva sul bisogno di registrare ogni cosa, e di come un giorno, tornato dalle vacanze, si fosse accorto di aver sprecato tutto il tempo a fotografare cattedrali francesi anziché guardarle e metterle via «solo mentalmente». La tirata di Eco era contro la “schadenfreude”, ovvero della delizia che si prova per le disgrazie altrui. Niente di tutto questo, naturalmente. Con il calcio è l'opposto. Lontano dalle pay-tv, lontano dagli eventi milionari catalogati con dovizia di particolari (per un gol si arriva anche a 25 telecamere piazzate in diverse angolazioni), arriva la casualità a portare alla luce questi gesti fenomenali, l'attimo in cui tiriamo fuori dalla tasca l'iPhone e filmiamo un gesto valoroso, che ci sembrava possibile solo nel calcio ad alti livelli. E' il progresso tecnologico ci ha fornito gli strumenti per accumulare bigiotteria per campioni. Reti alla Djorkaeff, alla van Basten, perle alla Maradona o alla Cristiano Ronaldo. O chiunque vi abbia fatto sognare. Ma il paragone è una trappola: restiamo tutti, orgogliosamente, dilettanti. 

    MERAVIGLIARSI
    «Molto lo fa il contesto. Perché ti viene voglia di essere protagonista. La mia era una partita importante, prima contro seconda, noi a più dieci e in pratica batterli significava vincere il campionato. Un difensore mi appoggia la palla. Tiro, mi sono detto. Puro istinto. Ero arrabbiato perché avevo battuto male il calcio d'angolo e mi è venuta fuori quella cosa lì». Marco Lupi gioca nell'Unipomezia che quest'anno è stata promossa in Eccellenza. Lo chiamano "Treno", «perché, sai, non mi fermo mai». Nella vita fa il vigilante, ha ventisei anni, e certe volte capita che dopo l'allenamento va a fare il turno di notte. «Quando avevo diciassette anni ho detto no al Lanciano. Che errore. Sono stato fermo un anno, ma non ho mai pensato di poter vivere senza pallone. Sai una cosa? Gli sbagli che ho fatto mi hanno fatto innamorare ancora di più di questo sport. E' meraviglioso». Tutti abbiamo bisogno di meraviglia. A tutti i livelli. Anche sui campi in cui l'erba non è un'uniforme distesa verde liscia e minuziosa, ma è tinteggiata del giallo e del colore brunito della terra. Ma è quando diventa tangibile, quando la meraviglia fa parte del nostro mondo, del nostro quotidiano, è allora che diventa più assurda, strana, inconcepibile. In Italia i calciatori superano l'1,1 milioni di tesserati, solo l'1% gioca in squadre professionistiche. Il resto è l'iceberg. La parte nascosta della gioia. Composta da più di 500mila persone che sognano un gol, una giocata, un colpo che non passerà alla storia. Come quello di Giorgio Pesenti, che a quarant'anni ancora si diverte a stupire il (suo) mondo. La rovesciata con la maglia del Royale Fiore (Prima categoria) ha fatto il giro del web con più di 300mila visualizzazioni. «Eh sì, di quel gol vado fiero. Ho fatto una vita a giocare i tornei estivi, quelle cose le impari lì. Provi e riprovi finché non ti esce». Pesenti è uno abituato a scivolare nel fango, alle panche di legno anziché le poltroncine imbottite. E' tutto più duro, più reale. Né migliore né peggiore, è solo calcio. «Era il 94', avevo un mal di schiena pazzesco perché la settimana prima avevo fatto un lavoro pesante. Io faccio il muratore. Non dovevo neanche partire titolare. Quando ho fatto gol un mio compagno mi ha preso per il colletto e mi ha urlato: "Cosa hai fatto?". Cose che capitano, dico io».

    OSTACOLI
    Sono loro la faccia del calcio più ostinato, un calcio che qualche volta regala giocate da mille e una notte. Testimonianza che il talento lo puoi incontrare nei vicoli più stretti e bui. E la mediaticità, per fortuna, qualche volta ce lo svela. «Internet e i filmati danno una visibilità. Per quel gol in rovesciata mi hanno chiamato i giornali, e sempre per quello mi ha chiamato Di Marzio. Se ci fosse stato vent'anni fa, forse, avrei fatto una carriera diversa. Io ho fatto le giovanili dell'Atalanta con Morfeo e Tacchinardi, poi mi sono fatto male, e niente, sono ripartito dai dilettanti. Lì mi conoscono tutti. Adesso, a quarant'anni, il calcio per me è finito», racconta Pesenti. Biondo, occhi di ghiaccio. Uno da spaghetti western con la voce roca. «A ventitré anni potevo andare all'Albinoleffe, ma l'allenatore mi disse che avrei fatto panchina e allora non me la sono sentita. Potevo andare al Savona, che alla fine degli anni Novanta aveva grandi progetti. Anche lì non è andata bene. Io non ho sfruttato quelle due occasioni, ma le categorie nel calcio e nella vita hanno un senso». C'è una linea sottile che separa i giocatori che ce la fanno da quelli che restano nel grande mare del calcio, quello di tutti, con le tempeste e le mareggiate. Perché potenziali nuovi campioni si fermano a metà (o all'inizio) del loro percorso di crescita? Mortaro, per esempio, racconta la sua esperienza: «A sedici anni faccio un campionato di Promozione con diciannove gol, mi chiamano in nazionale Under-18 dilettanti e vinco l'Europeo. Mi prende il San Marino in Serie C. Quell'anno faccio ventisette tribune. Giuro. Ventisette. All'ultima il mister mi mette in campo gli ultimi sei minuti, era già tempo di recupero. Ci pasta un pari e andiamo ai play-off. Stavamo perdendo 2-1, beh, segno io. Pari. Che festa. Mi allenavo con Chicco Evani e lui mi diceva che avevo qualcosa di un attaccante del Milan che manco ce la faccio a nominare. Capito chi, no? Però uno poi è sempre troppo giovane, le circostanze magari non aiutano, e fai una strada diversa da quella che volevi fare».

    PADRI DEL LEICESTER?
    Esistono calciatori che sono veri e propri cultori di una giocata, filologi di gol d'autore. Sono calciatori che si ispirano ai grandi campioni, atleti che scelgono nella vasta galleria del passato o del presente qualcuno a cui somigliano o scelgono di assomigliare. Ma è anche più di così. Sono uomini che si abbandonano al calcio completamente, si fidano di quel che il pallone gli può offrire. Disse Claudio Ranieri poco prima di vincere la Premier League col Leicester: «La nostra storia dà speranza a tutti i giovani giocatori là fuori che si sono sentiti dire di non essere abbastanza bravi». Giocate e gol così nascono dalla voglia di non arrendersi mai, dice Lupi, «perché nel calcio e nella vita c'è tanto da imparare e da raggiungere». E' così che vengono fuori le giocate fantastiche, con l'ambizione e la passione. La sintesi in un gol. Segnato su campi anfiteatri del nulla, piccoli stadi sorti in mezzo a residence o palazzoni scrostati. Eppure il fascino del gioco non è dato dal contesto, o dalla scenografia. A vent'anni Luca Bispuri gioca nell'Anzio. Si sente l'odore del mare venire su a ogni cross. La sua rete contro il Ciampino è stato pure premiata. «Ah sì, sono finito sui giornali locali e in tv. Io la voglia di arrivare ce l'ho, il sabato sera sto a casa. L'anno scorso ho finito la scuola, informatica, e adesso la mattina aiuto papà che ha un'azienda di bigiotteria, fa il commerciante. Quando avevo quindici anni non lo capivo, ma adesso ce la sto mettendo tutta per arrivare il più in alto possibile». E' la passione che rende speciali i loro gol, anche se non fanno vincere la Champions League, la Serie A o la Premier League. E' da loro che nascono le storie come quella del Leicester. «Io a ventisette anni ci credo ancora», alza le spalle Josef De Santis, ciuffo morbido come un ricciolo di burro. Sorride, forse pensa a come sarebbe un futuro senza pallone. A quanto gli mancherebbe l'allenamento, la ruvidezza di un campo in periferia, che è il suo stadio da novantamila posti. Fa no con la testa, non è possibile. Anche lui gioca nel campionato dilettanti, ma segna gol alla Totti. «E' istinto, non lo so che così, lì per lì non ci pensi. D'accordo, non siamo in Serie A, ma quello che ci fa andare avanti è la voglia, la passione, perché non è facile fare cinque allenamenti a settimana, poi la partita, e vivere secondo certe regole. Quei gesti sono libertà, e la libertà è gioia». Qualche volta, per fortuna, passa sugli schermi del nostro pc.

    MARCO LUPI, UNIPOMEZIA




    GIORGIO PESENTI, ROYAL FIORE



    LUCA BISPURI, ANZIO



    SIMONE MORTARO, TORGIANO min. 1:31

     

    PIETRO BALISTRERI, GUBBIO min.0.47)

     
    JOSEF DE SANTIS, BASTIA


     

    Altre Notizie