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  • La Fiorentina ha perso l'amico comico

    La Fiorentina ha perso l'amico comico

    • Marco Bernardini
    Quando muore un comico diventiamo tutti un poco più poveri. E’ tremendamente difficile imparare l’arte del saper far ridere e poi regalarla alla gente. Giorgio Ariani c’era riuscito. Settantaquattro anni e almeno cinquanta di militanza artistica partendo dal molto basso del cabaret da cantina per arrivare ad un livello di assoluta dignità come “solista” del “Drive In” e delle sue successive riedizioni con etichette diverse oppure, nel cinema, come delicato “cameo” per i copioni di Leonardo Pieraccioni del quale era grande amico oltreché un poco maestro e infine con Giorgio Panariello il quale non poteva non ammirarlo avendo dovuto, lo stesso attore viareggino, spaccarsi le ossa in anticamere che parevano dover finire mai prima di raggiungere la popolarità.

    Nato assolutamente per caso a Ravenna, Ariani era profondamente fiorentino e quindi, in qualche modo, padre fondatore di quella comicità toscana che avrebbe toccato lo zenit con Roberto Benigni. Se ne è andato in una stanza di ospedale a Empoli, nel tardo pomeriggio di ieri, senza poter soddisfare il suo desiderio di poter vedere in televisione la Fiorentina della quale era innamorato pazzo e per la quale anche recentemente aveva espresso giudizi altamente postivi. Specie verso Paolo Sousa perché, diceva, “non sono mai stato un montelliano e perché sono convinto che la Fiorentina abbia finalmente trovato l’allenatore che la porterà in alto in Italia e in Europa”. Meglio, comunque, che non sia riuscito a vedere la debacle viola all’Olimpico e soprattutto Salah (“sognavo potesse diventare il mio idolo  in viola”) fare il cecchino contro i suoi ex compagni.

    Ariani non è stato un gigante della scena. Non era personaggio da “sold out” al botteghino. Sapeva far ridere anche in maniera intelligente e in punta di penna senza tuttavia possedere quel carisma che, insieme alla spinta della fortuna, ti permette di andare oltre il confine della seria e lodevole professionalità. Fu chiamato persino a sostituire Alvaro Vitali per un “Pierino alla riscossa” che altri colleghi suoi si sarebbero vergognati di interpretare. Lui no. Non voleva sputare nel piatto dove trovava quotidianamente da mangiare e nutriva un assoluto rispetto per il lavoro, anche quello meno prestigioso e più oscuro. Gli bastava la voce, in ogni caso, per  poter dare un senso alla sua professione e per farsi notare. Dopo Alberto Sordi, infatti, venne chiamato proprio lui per doppiare il celebre “Ollio”. Ancora oggi, nei remake ristrutturati e restaurati con le maschere di Stanlio e appunto Ollio, è l’attore toscano a parlare con la bocca dell’attore americano.

    Quando muore un comico non possiamo evitare di sentirci un poco più soli. E’ così difficile trovare tra le pieghe di un quotidiano talvolta da manicomio motivi per stare allegri o almeno per poter sorridere. Allora, veder andare via per sempre quei pochi che riuscivano a realizzare questi piccoli miracoli laici provoca dentro un vuoto da far girare la testa. Resterà il ricordo, insieme con l’ennesimo sorriso. Grazie per la compagnia, delicato saltimbanco.

    Marco Bernardini

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