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  • Leo Messi: il calcio

    Leo Messi: il calcio

    Sbalorditiva è la continuità. Nell'unica stagione in cui si è espresso al di sotto del consueto standard, gravato dai problemi fisici, al 30% della condizione ha sfiorato un Mondiale. Lì ha mostrato la sua grandezza. Quel diagonale a lambire il palo grida ancora vendetta. 

    Quei problemi hanno reso Messi ancora più forte e, al culmine della maturità , ha imparato a gestirsi. Nel corso della gara preserva energie, si maschera da uomo comune: gioca semplice, evita affondi. Poi, quando si trova nella condizione propizia, ti fa male: abbassa il baricentro, sprigiona dai quadricipiti una forza mai vista, accelera lasciando sul posto i suoi marcatori diretti. Ha occhi ovunque, una visione periferica che  consente di controllare l'intero  terreno di gioco: nel breve, a distanza. “Essendo piccolo fa un appoggio ogni mezzo metro, e in ciascun appoggio nasce la possibilità di cambiare idea o direzione”. Appena vede il varco svela la sua natura, torna extraterrestre. E quando decide di vincere, vince. Ha schiantato il Bayern di Guardiola, da solo. Sono bastati tre affondi. Come certi pittori anche un grande calciatore vive periodi diversi nei quali trasforma il proprio modo di giocare. Il Messi giovane era un pugile che sempre cercava di stender l'avversario al primo round.  Sovente ci riusciva. Quel gioco era rischioso per articolazioni e muscoli: botte, lesioni. Crescendo il suo repertorio si è arricchito . Ha imparato a dosarsi: attende il momento giusto e quando l'avversario abbassa la guardia, piazza il colpo del knock-out. All'occorrenza non disdegna l'idea di vincere ai punti. Nel momento in cui il fisico non rispondeva perfettamente ai comandi si e' affidato alla mente, scoprendo (e svelando) un modo diverso di giocare.  Il segreto della continuità di Messi:  gestione delle forze. Evita contrasti e accelerazioni inutili. Nell'arco dei 90 minuti non appena si apre un minimo spiraglio, affonda. Penetra tra le maglie della difesa a velocità proibitiva, la palla sembra scomparire invece e' incollata ai suoi piedi. Tocchetti frequenti e impercettibili mandano fuori tempo gli avversari. Le gambe aderenti al terreno girano con una rapidità sconosciuta: sembra che scherzi tale e' la semplicità con cui esegue l'impossibile. E mentre ti chiedi da dove e' passato e' già davanti al portiere. Freddo. Cinico. Non sbaglia. Mai.  

    Il ragazzo non risponde alle comuni leggi della fisica e della meccanica. Appartiene ad una categoria a parte, gioca per la storia. Impossibile un paragone con Maradona. Ne e' l'erede. Probabilmente lo supera. Fuori dal campo l'esatta antitesi. Non puoi avvicinarti alla personalità straripante di Diego Armando, figlio di un tempo di grandi rivendicazioni sociali, sentimentalmente inarrivabile. Messi, ragazzo umile, e' un leader tecnico, silenzioso: parla solo con i piedi. La sfida  verte su piani diversi: continuità e numeri. 

    Manca soltanto un mondiale (autentico tallone di Achille). Dannato diagonale! ancora grida vendetta.  "Nel cuore di ognuno di noi c'è un vuoto che ha la forma di Dio" sostiene Pascal. Non aveva visto Messi. 

    Il giorno in cui Leo deciderà di appendere le scarpette al chiodo, sarà la nostalgia a incaricarsi di trasformarlo in mito. Negli occhi, nella memoria infiniti capolavori disseminati nell'arco di una carriera senza precedenti. Vecchi filmati, romanzieri, semplici testimoni tramanderanno le sue gesta a generazioni future. Allora sarà definitivamente chiaro che Messi giocava per la Storia e altrettanto evidente sarà la portata della sua grandezza. 

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