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  • La paura di un padre: 'Non mando mio figlio a giocare in Belgio'

    La paura di un padre: 'Non mando mio figlio a giocare in Belgio'

    La scorsa settimana stavo organizzando un viaggio-calcistico in Belgio, per portare un calciatore in prova in una squadra professionistica. Il provino alla fine è saltato per infortunio rimediato dal mio assistito nell'ultima partita di campionato da lui disputata; e, nonostante già avessi provveduto a ottenere nulla-osta, invito della squadra interessata e altri documenti indispensabili per portare il calciatore in prova, la sorte ha voluto che non se ne facesse nulla, almeno per questa volta. Sono un sopravvissuto? No! Non ho mai pensato a questo, anche perchè forse non mi sarei trovato all'aeroporto di Bruxelles al momento dello scoppio della bomba o delle bombe.

    Il problema è un altro, e scusate se personalizzo il problema. Riorganizzerò il provino del mio calciatore? Avrò voglia di partire per Bruxelles nei prossimi giorni? Sarà disponibile il ragazzo a partire? E i suoi genitori lo lasceranno andare, visto che si tratta di un minorenne?

    Ebbene, questi sono i miei interrogativi, ma sono gli stessi che possono investire tutti coloro che sono "costretti" per lavoro a viaggiare molto. I procuratori sportivi, in particolare, sono a chiamati a frequenti viaggi in treno, in auto, in aereo. Per il procuratore il viaggio è cunsustanziale alla sua attività. Senza frequenti spostamenti non si possono ottenere risultati di rilievo, perché i viaggi sono il motore di questo lavoro.

    Il mio circoscritto problema - "vado o non vado a Bruxelles?" - è una goccia nel mare. Ma non penso di essere stato l'unico, in queste ore, a interrogarsi sul come affrontare eventuali viaggi di lavoro o di piacere verso la capitale dell'Unione Europea o verso altre città, come Parigi, dove l'allarme terrorismo è ritenuto alto, se non altissimo.

    E poi se scorro le notizie che legano i fatti di Bruxelles al mondo del calcio (es. "l'amichevole Belgio vs Portogallo non si giocherà in Belgio, ma in Portogallo", "gli europei a porte chiuse", ecc.) mi rendo conto sempre di più che il terrorismo potrebbe paralizzare la vita (ovviamente non solo calcistica) di tutti noi. Lo stesso Giancarlo Abete, vice presidente dell'Uefa, bypassa il problema calcio, dichiarando ai microfoni di radio 24 che "...il problema della sicurezza è primario per tutti quanti noi, l'evento sportivo si colloca in una dimensione residuale rispetto al tema sicurezza verso tutti i cittadini...".

    Ho chiamato il papà del ragazzo per commentare i fatti di Bruxelles....e per sapere da lui se ci fosse ancora la disponibilità a lasciare andare il figlio verso Bruxelles nei prossimi giorni.

    La sua risposta, al telefono, è stata più o meno questa:
    "Io e mia moglie non ce la sentiamo di mandare nostro figlio a provare. Mi dispiace, ma non se ne fa nulla. La vita di nostro figlio è più importante della sua vita calcistica. Ci scusi, ma per il momento è meglio che stia tranquillo nella sua attuale squadra e che finisca sereno l'anno scolastico. Grazie per l'opportunità, nella speranza che possa capire le nostre preoccupazioni".

    Come biasimarli?
    Non si può, perchè ha ragione Abete: l'evento sportivo si colloca in una dimensione residuale rispetto alla sicurezza di tutti noi, compresa quella di un ragazzo che sogna di diventare un campione!

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