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Napoli: Sarri, ma chi te lo fa fare di andare in conferenza? Rovini il campo!

Napoli: Sarri, ma chi te lo fa fare di andare in conferenza? Rovini il campo!

  • Fernando Pernambuco
Se potessero non ci andrebbero. Chi e dove? Parecchi allenatori in diretta davanti ai teleschermi subito dopo la partita o anche in conferenza stampa. Non tutti, per esempio Zenga parlerebbe di tutto per ore anche dopo una sconfitta cocente, ma molti altri proprio non ce la fanno. Stanno lì a sentire le domande dallo studio di fianco a un giornalista col microfono, prigionieri d’un contratto.

Il campione di questa reticenza o goffaggine oppure semplicemente e comprensibilmente voglia di non parlare a caldo o di non parlare mai è Sarri. Lo capiamo. Ognuno ha il suo carattere. C’è chi nasce orso, chi cicala, chi sorride e chi sta zitto anche dopo aver vinto una coppa o il campionato. A Sarri non va proprio giù di dover rilasciare l’intervista di rito dopo una partita. Ce lo immaginiamo mentre lo trascinano in catene davanti alla telecamera, con la sua tuta, la faccia rabbuiata che, spesso, esprime molto di più delle sue parole e sembra dire: “Ma che ci faccio qui? Lasciatemi in pace…Sono solo chiacchere.” 

Sì, lo capiamo. Magari sente troppo la partita e quando è finalmente giunto il momento di fermarsi, rilassarsi, bere un the in un angolino con una sigaretta tra le dita, ecco che arriva quello di Sky, poi quello di Mediaset, poi la Rai: una bella rottura, ma questi sono i tempi, bisogna rassegnarsi: la “belva” della comunicazione si nutre di carne umana.

I trucchi ci sono, per carità, ma non è detto che tutti li conoscano o che non cedano alla tentazione più pericolosa: dire quello che viene in mente in quel momento. Un grande allenatore, dalla grande personalità, come Liedholm metteva in soggezione i giornalisti oppure li prendeva un po’ in giro: faceva finta di non capire, si stupiva, sorrideva. Lippi manteneva un suo cipiglio, ripetendo come un mantra il suo unico comandamento comunicativo “Non parlo di moviola, non parlo di arbitri”. Spalletti propone lente e strascicate affabulazioni metafisiche dall’ardua interpretazione. Allegri arriva col sorriso stampato e ripete sempre le stesse cose: 1) il calcio non è una scienza esatta; 2) bisogna fare i complimenti ai ragazzi; 3) ogni tanto ci si distrae. Poi chiude con lo stesso sorriso (sempre stampato).

Sarri, no. Bravissimo sul campo, è invece ancora un po’ indietro rispetto a colleghi più navigati ed esperti nei riti comunicativi. Arriva, appunto, svogliato, ma poi s’infervora, esagera, crede (fin troppo) a quello che dice e va oltre, parla anche di argomenti che le domande non affrontano. Gli succede  quando vince (spesso) quando perde, quando pareggia. Nell’ultima uscita televisiva se l’è cantata e se l’è suonata. S’è infilato in un labirinto argomentativo basato sul fatto che il calendario favorisce la Juventus perché gioca dopo e quindi sapendo il risultato è avvantaggiata, bacchettando quelli della Lega. Mesi fa aveva sostenuto che è meglio giocare prima senza conoscere gli altri risultati.

Si respira, insomma, nel tecnico tosco-napoletano un’aria di perenne polemica alla Bartali per cui c’è sempre qualcuno che sbaglia e che bisogna bacchettare, mista a un vittimismo con venature provinciali perché la Juve è sempre favorita, è più ricca e, “alla fine…insomma…poi. Se andiamo a vedere….”.

Ma non sarebbe meglio che Sarri s’abbandonasse del tutto alla propria “orsaggine” e senza sorrisi, con gli occhi bassi si limitasse a un perenne compitino di “sì”, “no”, “se lo dite voi”? Non gliene frega nulla di venire a parlare, è dotato d’un certo tasso di misantropia, le opinioni altrui non gli interessano e, allora, trovi un po’ di coerenza. 
Dica il meno possibile, lasci trasparire il fastidio per il genere umano e giornalistico in primis, non esprima alcunché. Faccia la sua comparsata da contratto a comunicazione zero. Ci guadagnerebbero lui e il suo Napoli.

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