Calciomercato.com

  • Nordahl, pompiere che incendiò il Milan

    Nordahl, pompiere che incendiò il Milan

    • Marco Bernardini
    “Ma chi ti credi di essere, Nordahl forse?”. A don Gianni, il salesiano che insegnava ginnastica alle scuole media dell’istituto San Paolo di Torino, non garbava che facessi lo sbruffone dopo aver segnato un gol. Io non mi tenevo e invitavo i compagni di classe a venirmi addosso per farmi festa. Il campo da pallone dell’oratorio rappresentava, per me, un palcoscenico troppo affascinante. Ero molto più bravo sopra quello spiazzo in terra battuta grigio fumo, dalle ore quattordici alle quindici al tempo della ricreazione, che non sui banchi di scuola. Segnare un gol equivaleva ad un otto in matematica. Peccato che i miei genitori e gli insegnanti la pensassero in maniera differente. Sicchè, specialmente a mia madre che viveva il calcio come il fumo negli occhi, della mia prodezza sportiva fregava un bel niente. A contare, pesantemente, era il “quattro meno”sul diario che significava rimettersi a studiare anche dopo la cena.

    Gli occhi fissi su libro, la mente che se ne andava per i fatti suoi. E la voce di don Gianni,  in sottofondo, a ripetere quel nome: Nordahl. In verità, già juventino da bimbetto, avrei preferito il paragone con Boniperti il biondo attaccante bianconero anche lui specializzato in gol. Ma alla fine degli anni Quaranta e per un decennio bello tondo il simbolo popolare di quello che oggi viene definito bomber e che allora si chiamava “cannoniere” era proprio quell’omone di un metro e ottantacinque per novanta chili che giocava nel Milan dopo essere arrivato da un paese della Svezia chiamato Hormfors. Di nome faceva Gunnar, come un guerriero vichingo, e nel suo Paese era diventato celebre grazie al gioco del pallone. Celebre non ricco. Allora fare il  calciatore di professione significava, economicamente, avere la possibilità di stare benino. Poco più di un pompiere, per esempio. Ed era proprio quella del vigile del fuoco l’attività lavorativa che il giovane Gunnar aveva lasciato per dedicarsi completamente al pallone. Fortuna che, già allora, in Italia i presidenti delle più importanti società si erano ammalati di esterofilia. Con un bel contratto, mai sognato prima, Nordhal arrivò a Milano insieme ad altri due compagni svedesi come lui e con i quali, nella loro nazionale, componeva il trio Gre-No-Li. E di Green, Nordahl e Liedholm si parla ancora oggi.

    Il calcio è bello perché consente anche di giocare con i ricordi legati a personaggi diventati leggenda. Rileggerne gesta e situazioni permette agli anziani di ringiovanire e ai giovani di conoscere ciò che ignoravano. Ieri, per esempio, il “Pipita” Higuain ha battuto il record di gol segnati in un campionato che da sessantasei anni era detenuto da Nordhal. Il pompiere che, per sei stagioni, incendiò il popolo rossonero di San Siro con le sue prodezze balistiche aiutate dal fisico possente che, apparentemente, andava a contrastare con il suo carattere mite e con il suo fare elegante. Qualità che gli consentirono di meritarsi anche la fama di “cannoniere gentiluomo”. Dire di Gunnar, allora, era come parlare di un tremendo ciclone domenicale contro il quale restava ben poco da fare se non tentare di limitare i danni. Una “furia de gol” che, fatalmente andò esaurendosi con il tempo. Lasciato il Milan, Nordahl migrò alla Roma dove rimase due anni ma non fu più come prima anche se con lo score di 225 reti realizzate in Italia, delle quali soltanto due su rigore, resta il terzo bomber di tutti i tempi dietro a Piola e Totti. Del resto, dal campo di gioco era già entrato nella leggenda. Un poco come la sua reincarnazione contemporanea svedese, Ibrahimovic. Amò l’Italia dalla quale venne amato e celebrato. E in Italia, ad Alghero dove era in vacanza, chiuse gli occhi per sempre ventun anni fa. Quando Higuain era ancora un ragazzino.

    Altre Notizie