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  • Razzismo e curve chiuse, i vostri articoli per il masterSport

    Razzismo e curve chiuse, i vostri articoli per il masterSport

    Scrive sulla nostra pagina Facebook Massimiliano Di Cesare, che partecipa al gioco VAI AL MASTERSPORT


    Discriminazione territoriale: ma davvero questo è il male del calcio?


    Il tifoso, e con esso il tifo, è la parte più bella della componente calcistica, quella più vera, quella che più di tutte esprime il senso di appartenenza ai colori di una squadra.. Dalle curve partono inni, cori e quant’altro all’indirizzo dei propri beniamini, e non solo: ovvio pensare che ci possano essere anche cori contro i propri avversari, questo è lecito, finché si resti però in quel limite di lealtà e sportività che a tutti è richiesto, ed a cui tutti dovremmo richiamarci quando andiamo a goderci una partita allo Stadio. Purtroppo cosi non è, perché negli ultimi anni si è sviluppata una tendenza ad insultare l’avversario in maniera “pesante”, sia esso tifoso o giocatore, piuttosto che incitare i propri beniamini: il pensiero va dunque ai buu razzisti nei confronti dei giocatori di colore, oppure ad insultare il territorio di appartenenza. Esempi, per quanto riguarda il razzismo vero e proprio, ce ne sono stati tanti in passato, ma anche più di recente: tra i tanti, ricordiamo quello che è accaduto a Zoro del Messina quando, insultato dai tifosi interisti minacciò, con il pallone in mano, di andarsene senza terminare la partita. Altro episodio è accaduto a Samuel Eto’ò con la maglia del’Inter quando, durante la partita contro il Cagliari, si alzarono dei buu razzisti, tanto da dover intervenire lo speaker dello stadio per avvisare i tifosi di smetterla altrimenti la partita sarebbe stata sospesa. L’ultimo caso, in ordine di tempo, è quello accaduto a Kevin Prince Boateng, allora giocatore del Milan: nel corso di un’amichevole a Busto Arsizio, alcuni pseudo tifosi lo insultarono ed il giocatore stufo di tutto ciò, lanciò il pallone in tribuna proprio dove erano coloro che lo insultavano e se ne andò. Allo sfortunato arbitro non restò altro da fare che sospendere la gara. Di recente però, si è sviluppato, con accezione assolutamente negativa del termine, una nuova forma di razzismo, quello territoriale: Nord contro Sud per intenderci, che in realtà c’è sempre stato ma solo ora, a quanto pare, i massimi organismi sportivi cominciano a ritenerli offensivi, quando finora erano stati bollati semplicemente come semplici “Sfottò”. Esempi se ne potrebbero fare migliaia, riguardanti i tifosi napoletani, quelli siciliani, quelli avellinesi, quelli friulani, quelli milanesi…tutti sono coinvolti. Si tratta di puro campanilismo, che però in alcuni casi oltrepassa il limite della sportività, di cui parlavamo prima, e finisce nell’insulto vero e proprio. Cosi, dalla sera alla mattina, si è assistiti alla chiusura di questa o quella curva, di questo o quel settore dello Stadio che ha iniziato il coro discriminatorio, con gli uomini della Procura Federale a drizzare le orecchie ed ascoltare, oggi più che mai, quanto proviene dagli spalti. Questa decisione non è piaciuta, ovviamente, in primis ai tifosi, i quali pagano un abbonamento ma si vedono tolti il diritto di assistere all’evento sportivo; alle società calcistiche, perché cosi facendo il tifoso non è più stimolato a sottoscrivere l’abbonamento con gravi perdite per il club; ed infine alla televisioni perché, una partita senza pubblico non è certamente un bel vedere per il telespettatore che guarda casa. A dirla tutta, questa della discriminazione territoriale è qualcosa che esiste solo in Italia: nemmeno Platini sapeva che potesse esistere una roba del genere. Cosi, in Italia, giusto per complicarci la vita, abbiamo istituito questa nuova forma di razzismo. Le indicazioni provenienti dalla UEFA lasciavano un margine di interpretazione, ma questa sembra davvero esagerata. Non è ammissibile tutto ciò, perché se alcuni facinorosi, di un qualsiasi settore dello Stadio, fossero in disaccordo con l’operato della società, tramite questa forma di discriminazione, potrebbe davvero portare alla chiusura dell’intero stadio, visto che le norme punitive prevedono come prima sanzione, la chiusura di uno o più settori dello stadio, in caso di seconda violazione, oltre all’ammenda di almeno 50.000 euro per le società professionistiche, si applicano le seguenti sanzioni, a crescere, in base alla recidività: gara a porte chiuse, squalifica del campo, penalizzazione di uno o più punti in classifica, esclusione dal campionato, non ammissione a un campionato o ad altre competizioni. In definitiva, tutti possiamo metterci del nostro per migliorare il calcio italiano in merito a questa situazione, sia esso discriminazione territoriale o razzismo. I tifosi dovrebbero andare allo stadio per tifare ed incitare la propria squadra, con la possibilità anche di fare qualche coro contro gli avversari ma restando nel limite del consentito. Il contributo maggiore per risolvere questa situazione deve venire però dalle Istituzioni, quelle sportive e non solo, che dovrebbero avere una maggiore capacità di gestire la situazione: solo la repressione non può bastare. Poniamoci però una domanda: ma davvero la discriminazione territoriale è il male del calcio?

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