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    Roma, Monchi: 'Decido io se esonerare l'allenatore. Cessioni? Non un male se...'

    Roma, Monchi: 'Decido io se esonerare l'allenatore. Cessioni? Non un male se...'

    La Roma arranca, i nuovi non convincono: è anche Monchi a finire sul banco degli imputati. Il direttore sportivo giallorosso nonostante le tante critiche non si pente di aver scelto la Roma. “Anche dopo 16 mesi posso confermare che è stata la scelta giusta per me”, ha dichiarato in una lunga intervista per Sport Illustrated. Nel podcast (del 30 agosto) andato in onda nella rubrica Planet Futbol, Monchi ha parlato del suo metodo di lavoro e dei suoi obiettivi con la Roma. Ecco l’intervista:

    Come può descrivere il suo lavoro di direttore sportivo?
    Non è facile descrivere il mio lavoro in poche parole. Mi occupo di tutto ciò che riguardi la pianificazione sportiva della Roma, da chi sia l’allenatore, alla filosofia del club, comprare e vendere giocatori. E’ una figura che diventa sempre più importante.

    Perché il ruolo di ds si è sviluppato più nel resto dell’Europa che in Inghilterra?
    Dipende dal modello, io ne identifico 3: quello presidenziale, quello inglese che ruota attorno alla figura dell’allenatore e il quello misto, dove presidente, allenatore e direttore sportivo coesistono. Secondo me il più bilanciato è l’ultimo, dove il presidente decide il tipo di investimenti, l’allenatore traccia i profili dei giocatori interessati e il ds cerca i giocatori. In Inghilterra il modello del coach prevale ma secondo me si sta andando lentamente verso il modello europeo, perché in Inghilterra si vedono sempre più allenatori stranieri che sono abituati a lavorare in un certo modo.

    Perché dopo tanti successi ha deciso di lasciare il Siviglia?
    E’ una domanda che mi hanno fatto molte volte. Ho pensato davvero fosse il tempo per me di cambiare dopo 29 anni divisi tra vita da calciatore e direttore sportivo. Ho sentito di aver bisogno di provare nuove cose e mettermi alla prova per capire se fossi capace a fare il mio lavoro fuori da casa mia. Molti pensano che l’ho fatto per soldi o perché ho discusso con il presidente, ma non è così. Avevo bisogno di nuove sensazioni.

    Perché ha scelto la Roma rispetto ai tanti club che l’hanno cercata?
    Non lo so (ride ndr). Ho pensato che la Roma fosse il club che, tra i tanti che mi hanno cercato, mi offrisse la possibilità di essere me stesso, di essere Monchi. E’ stato importante mantenere indipendenza e responsabilità, la possibilità di continuare il mio lavoro. La Roma mi ha dato l’occasione di non cambiare identità professionale e dopo 16 mesi posso dire che è stata la scelta giusta.

    Nella Roma chi prende le decisioni?
    La gerarchia è simile a quella che c’è in ogni altro club. C’è un presidente, un direttore generale, un amministratore delegato etc. Il mio capo è Pallotta, ma fortunatamente io posso lavorare in autonomia, ovviamente tenendolo aggiornato su ogni novità. La nostra relazione è ottima, così come quella con Baldissoni e con Gandini. Assumere e esonerare gli allenatori è una mia competenza perché dalle decisioni dell’allenatore dipende il progetto sportivo.

    Come sceglie i giocatori? 
    A seconda di quello che ci suggerisce il talento. So di non essere originale nella risposta, ma è un lavoro davvero difficile. La verità è che bisogna avere una grande struttura di scouting per arrivare sui talenti prima dei competitor. Bisogna trovare i giocatori che sono utili per il tuo sistema di gioco, i giocatori funzionali. Abbiamo un’ottima struttura di scouting, un’ottima strategia di lavoro e in generale un’ottima fonte di informazioni. Sono importanti anche i dati che possono rappresentare una strada più breve per arrivare alla giusta strada.

    Quanti scout ha alla Roma e come usa i dati?
    Adesso siamo una squadra di 15 scouts, ognuno lavora su un certo tipo di dati e li inserisce poi nella banca dati dalla quale decidiamo che giocatori monitorare e quali smettere di seguire. Non tutti lavorano a Roma, siamo impegnati adesso a costruire uno scout network che servirà a monitorare giocatori giovani da una squadra di circa 20-25 persone, che lavoreranno sotto la guida di uno di quelli che stanno a Roma.

    Quanto è diversa la Roma dal Siviglia in quello che fai ogni giorno?
    E’ diversa per molte situazioni. Prima di tutto per l’attenzione dei media e sociale che un club come la Roma ha. Sono due modi diversi di lavorare, il Monchi che era utile ha Siviglia aveva bisogno di cambiare qualcosa per esserlo al progetto Roma. A livello di pressione e importanza di raggiungere gli obiettivi è simile.

    Obiettivi alla Roma?
    Il mio più grande obiettivo è costruire un modello economico che sia sostenibile e stabile, mentre a livello sportivo è portare la Roma più vicino possibile al massimo livello. Sono questi i miei due obiettivi.

    Qual è l’importanza del settore giovanile nei suoi piani?
    E’ importante, il lavoro sulle accademy è l’essenza di un club se vuoi costruire un progetto a lungo termine, quando hai la possibilità di contare su giovani che crescono nel tuo club. Rende il progetto ancora più sostenibile. Loro credono nel club e si identificano nel club. E’ essenziale per la Roma puntare sui settori giovanili.

    Per quanto tempo pensa che la Roma dovrà vendere i giocatori?
    Lavoriamo prima di tutto per trovare una sostenibilità economica, il che ci permette di decidere chi vendere e quando vendere oppure no. Siamo sulla buona strada, ma non significa che non venderemo nel futuro perché vendere non è un male, ma è una cosa normale se poi investi in strutture, allenatori e giocatori che fanno crescere il club. Si è sempre venduto nella storia del calcio. Il Barcellona ha venduto Neymar, il Real Madrid ha venduto Ronaldo, la Juventus ha venduto Pogba o Higuain. Le società devono essere capaci di reinvestire i soldi.

    Quanto la costruzione del nuovo stadio della Roma influenza il tuo lavoro?
    Molto, sarà un’importante fonte di ricavi e farà crescere il brand AS Roma, dando al club la possibilità di investire più soldi per raggiungere l’elite del mercato internazionale.

    Malcom pensa che avrebbe potuto fare di più?
    Abbattere con un proiettile il satellite delle comunicazioni tra Barcellona e Bordeaux (ride ndR). Non penso che avremmo potuto fare di più, il giocatore era pronto a salire sull’aereo per Roma, avevamo organizzato il viaggio per fargli raggiungere la squadra negli Stati Uniti, prenotato l’hotel e anche le visite mediche erano organizzate.

    Sarai più motivato quando il tuo club sfiderà il Barcellona?
    Dopo 20 anni nel giro ho imparato che a volte si vince e a volte si perde. E’ molto meglio avere amici che nemici". 

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