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  • Serbia-Croazia:| Sul campo la rivincita della storia

    Serbia-Croazia:| Sul campo la rivincita della storia

     Addio, Serbia. Niente mondiale in Brasile. Solo la condanna, per i ragazzi di Sinisa Mihajlovic, a guardare i cugini croati in tv, gli stessi croati che ieri con un netto 2 a 0 li hanno esclusi - di fatto, se non con la matematica - dalla Coppa del Mondo 2014. Ma che sollievo, in questa disgrazia calcistica nazionale serba - per la politica, per l'Uefa, per tutti gli osservati speciali di un popolo e dell'altro - che l'onore sia salvo. Al Maksimir di Zagabria, ieri, sono stati domati anche i fantasmi del 1990, quelli dell'odio sportivo che tracima in odio nazionale e che in Jugoslavia si è sfogato anche sui campi di guerra. È stata un'intensissima partita di calcio, o poco più.

     

    Era il 13 maggio 1990. Al Maksimir si doveva giocare Dinamo Zagabria contro Stella Rossa di Belgrado. Una settimana prima gli ultranazionalisti di Franjo Tudjman avevano vinto le elezioni in Croazia. La partita, in un'atmosfera bestiale, non fu neppure disputata. Cariche e scontri, il giovane Boban immortalato mentre dà un calcio a un poliziotto. Quella partita, 60 feriti, diventò il simbolo della disgregazione jugoslava. Un anno dopo, tra politici sempre più minacciosi, intellettuali che a Belgrado scrivevano il manifesto della «Grande Serbia» e a Lubiana quello della «secessione europeista», dopo quattro dichiarazioni di indipendenza nazionali, nel giugno 1991 i Balcani furono travolti dalla guerra.

    È per questo ricordo che ieri, a Zagabria, c'erano 1.500 poliziotti armati. Un'allerta senza precedenti. Ai tifosi serbi è stato vietato di seguire la squadra, né potranno farlo a settembre gli ultrà croati. Tensione al mattino, in piazza Ban Jelacic, quando venti ragazzi con le bandiere croate a scacchiera intonano «Ajmo ustase» (forza ustascia) e «ubij Srbina» (ammazza il serbo): verranno fermati. Ma la sera in campo - sotto gli occhi del presidente croato Ivo Josipovic e dell'ex collega serbo Boris Tadic - l'evento ormai è solo sportivo. 

    Gli inni. Quello croato applaudito dai giocatori serbi. Quello serbo fischiato da tutto lo stadio. Poca cosa, invece, la cronaca della partita. I croati partono a razzo. Troppo forte il «battaglione tedesco» degli attaccanti, Olic (Wolfsburg) e Mandzukic (Bayern), sostenuti da Modric (Real Madrid). La «difesa italiana» (Brkic, Nastasic, Kolarov) come è chiamata in Serbia, vacilla da subito. Ed è proprio da un errore di Kolarov che Manzukic, innescato da Olic, insacca da due passi. Poi lo stesso Olic spinge in rete un traversone in mezzo alla difesa ferma. Due a zero, pratica chiusa in mezz'ora. La Serbia senza idee reagisce tardi nel secondo tempo, senza segnare. Croazia a 13 punti nel girone, Serbia 4. Game over .

    E dunque, troppo clamore per il match? Troppa confusione tra calcio e politica? Forse, però è vero che gli ultrà della Stella Rossa furono arruolati da Arkan e portati a Vukovar nel 1991. Che molti Bad Blue Boys della Dinamo fecero lo stesso. Che dai tempi di Tito (quando il generale croato Tudjman era presidente del Partizan di Belgrado), il calcio è stato usato come vetrina. Ed è vero che da altri sport giungono segnali positivi per la pacificazione della «jugosfera». Nel basket, per esempio, si è ricreata la Lega Adriatica: un solo campionato per le sei ex repubbliche jugoslave. Si è proposto di fare lo stesso con il calcio dal 2015. Può funzionare? «Se volete un'altra guerra», hanno risposto i Bad Blue Boys croati. Però gli anni passano. E Mihajlovic, l'amico di Arkan, che avrebbe dato «3 anni di vita» ieri per essere in campo, alla vigilia aveva detto: «Se nessuno sarà espulso, abbiamo vinto tutti e due». Ecco, addio Rio, ma ieri quell'altra partita Sinisa l'ha vinta.


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