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  • Totti e Ronaldo, miti a confronto

    Totti e Ronaldo, miti a confronto

    • Michele Dalai
    Ronaldo torna a San Siro e decide di vestire i panni del grande ex, della bandiera nerazzurra. Ronaldo è fatto così, è un ragazzo allegro, pensa che basti uno dei suoi giganteschi sorrisi a cambiare la storia e se non succede pazienza, fa spallucce e va avanti per la sua strada. Una strada piena di trionfi e costellata di denaro, armadietti svuotati di notte e stagioni complicate (da calciatore). Ci ha provato Ronaldo a dare una spolverata alla parabola del figliol prodigo interista. Quale migliore occasione, avrà pensato? Moratti allo stadio, Mourinho allo stadio e una squadra più malata che non convalescente da aiutare. Nell’ammucchiata di affetti, amori e sospiri pensava di cavarsela anche lui. E invece no. Ronaldo ha giocato all’Inter una delle più incredibili annate della sua incredibile carriera. 1997/98, avversari storditi a suon di finte e accelerazioni, valanghe di gol, sogni di gloria e felicità, l’amarezza di quel disgraziato epilogo e lo schianto contro il fianco di Iuliano, poi la Coppa Uefa a Parigi e il balletto davanti a Marchegiani e Nesta. Quel Ronaldo avrebbe potuto chiedere qualsiasi cosa ai tifosi dell’Inter e l’avrebbe ottenuta, così come il ragazzo triste e smarrito dei due infortuni e quello coraggioso del rientro. Quei Ronaldo erano parte dell’Inter, erano l’Inter. Certo, la sua permanenza coincide con due dei più grandi lutti sportivi della storia nerazzurra, ma come fargliene una colpa? Lui che litiga con Cuper, lui che piange in panchina il 5 maggio, e poi finalmente lui che resta e si riscatta dopo aver ricevuto tutto quell’amore e conduce l’Inter alla vittoria. È andata così, è stato questo il seguito del film? No, l’ultima immagine cancelliamola. Ronaldo se n’è andato con una lunga, ma nemmeno troppa, supercazzola sulla sua incompatibilità con l’allenatore. Poi è tornato sì, ma con la maglia del Milan, ha segnato nel derby ed esultato nervoso, rifiutando i fischi. I calciatori amano nascondersi dietro lo schermo robusto del professionismo. Cambiano maglia per professionismo, non esultano per professionismo, esultano per professionismo, il professionismo è il tana libera tutti del calcio moderno. Legittimo, nessuno lo mette in dubbio. Solo che è difficile pensare o chiedere che i tifosi sposino questa forma di ipocrisia e la facciano loro, il calcio (finché ce lo permetteranno), è ancora fatto di passione, tifo irrazionale quanto lo è l’amore, fedeltà. Ronaldo ha fatto scelte intelligenti per la sua carriera, ne ha fatte di discutibili per l’immagine, ma di quelle risponde alla sua coscienza, e ha scelto di gettare via la sua fede nuziale nerazzurra senza alcun rispetto. Le conseguenze sono quei fischi e gli striscioni che lo hanno accolto a San Siro. Lui ha detto che capisce, che son cose comprensibili. Certo poi ha aggiunto che nel 2007 voleva tornare, che rivoleva l’Inter ma scelsero Adriano. Certo, il ragazzo è astuto e prova a scaricare su Moratti la ferita del 2002, fa il broncetto e chiede come sia stato possibile preferirgli Cuper. Per fortuna è il primo a non credere a quello che dice e sarebbe bene lo capissero anche gli indignati che si stupiscono in questi giorni di come si possa trattare così una bandiera. Ronaldo non è una bandiera, è un professionista, come dice lui. La bandiera di se stesso, quella che sventola meglio.

    Francesco Totti è una bandiera. Giocatore meraviglioso, uomo semplice, nella vita ha fatto scelte diverse da quelle di Ronaldo. Molto poeticamente ha scelto di rimanere fedele al suo primo amore, sempre e comunque. Ha rifiutato offerte clamorose, non ha ascoltato sirene seducenti e non vuol sentire parlare di eroismo, le sue rinunce son state dolorose ma di un dolore lieve, nulla rispetto a quanto ha ricevuto dalla sua città, nulla rispetto alla voglia con cui ha indossato quella maglia e la fascia da capitano. I detrattori di Totti, numerosissimi di questi tempi, fanno un po’ tenerezza. Lo consigliano, lo rimbrottano, ci tengono a fargli sapere che avrebbe dovuto smettere prima. Poi li guardi in faccia, uno a uno, e ti accorgi che son tutti diversi da lui. Gente che ha smesso presto perché non aveva più bisogno di denaro e la voglia se n’era andata da tempo, gente che ha vestito 20 maglie in 10 anni, gente che lo ha sempre detestato e non ha mai capito la semplicità dell’uomo, il suo rifiuto del divismo, quella timidezza sempre combattuta e mai vinta. Totti si è caricato sulle spalle la squadra e lo stadio, ha vinto quel che ha vinto a testa alta e ha sempre perso mettendoci la faccia, anche quando altri ben più responsabili e coinvolti fuggivano a gambe levate. È stato comodo usarlo e attribuirgli le colpe di uno spogliatoio spesso nervoso, di sconfitte umilianti e impossibili, di momenti di crisi. Lui c’è sempre stato. Quello che succede in questi giorni è surreale e bruttissimo, perché non è la morte sportiva del calciatore a essere in questione, ma il concetto stesso di gratitudine. Per quello che ha dato, per tutte le volte che è stato lasciato solo e non ha scartato davanti all’ostacolo, per l’amore che ha messo in ogni scatto, in tutti i gol, in ogni benedetta domenica della sua carriera Totti merita di uscire di scena in un altro modo. Chiediamo al nostro calcio di migliorare, bene, questa è una delle occasioni per dimostrare che è possibile. Kobe Bryant sta giocando l’ultima stagione di una carriera fantastica, averlo visto entrare in campo ragazzino e vederlo uscire ora applaudito in tutti i palazzetti americani mette i brividi. Totti è stato un avversario fiero, a volte leale e a volte insopportabile e capriccioso, proprio come Kobe, proprio come tutti i grandi nemici della storia dello sport. I tifosi della Roma lo amano, ieri lo hanno dimostrato una volta di più, lo amano ricambiati. Il sospetto è che non siano solo loro ad amarlo. Caro Francesco Totti, dovesse mai succedere di nuovo, dovessero arrivare altre scellerate tribune, fai così: sali sul treno, sul pullman o sull’aereo e vieni lo stesso a raccogliere il tributo meritato, meritatissimo. L’abbraccio di tutto il calcio, quello che molto poco dignitosamente ti viene negato dalla società, e non dai tifosi sia chiaro, cui hai dato tutto. Perché così fanno le bandiere. Ti aspettiamo #applausipertotti.

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