Calciomercato.com

  • Totti, tragicomico ammainabandiera

    Totti, tragicomico ammainabandiera

    • Fernando Pernambuco
    Sarà “Roma capoccia der monno ‘nfame?” Sarà lui “il Pupone”,  testa giovane da ventenne, ma tendini e rotule da quarantenne? Sarà una Società a due velocità, da una buoni risultati sul campo, ma anche una continua crisi d’identità? Sarà un allenatore che decide da solo, perché non c’è nessun altro intorno con cui scambiare due opinioni? Frullate tutti questi ingredienti e avrete il caso Totti. Forse il più tragicomico ammainabandiera dei giocatori bandiera. Ce ne sono stati di tristi, di  corretti, di quasi perfetti.

    Quasi sempre si parte da lì: il giocatore bandiera non si rende perfettamente conto di quando sia giunto il momento di smettere. Sente l’affetto dei tifosi intorno a lui, sente il calore della città, sente che un suo goal ne vale almeno tre di quelli degli altri compagni. E allora, nonostante gli acciacchi, qualche metro in meno sul campo e qualche frazione di secondo in più sulla palla, perché smettere? Basta che qualche ragazzo corra un po’ di più, che la classifica non azzanni e che l’allenatore porti rispetto. Già, perché il giocatore bandiera a poco a poco non è più semplicemente un giocatore, uno che sta con i piedi sul prato, che si allena, che prova gli schemi, ma diventa un simbolo. Un simbolo funziona per ciò che rappresenta, non per ciò che è. Vive nell’assoluto, non nella contingenza. Trascende le classifiche e i bilanci. Così, a poco a poco, qualche giocatore bandiera arriva a nutrire la pericolosa idea non solo di essere ancora in grado di giocare, ma di rappresentare lo spirito della sua squadra. E lo spirito non ha bisogno né di prove, né di risultati. In una parola non ha bisogno di realtà.

    Chi più si sente un simbolo capace di  racchiudere magicamente in sé colori, storia, carattere della squadra, più trascende il senso del limite, arrivando a sfidare anche il più potente dei limiti: il tempo.

    Quanto più un giocatore bandiera sta lontano da questa auto proiezione mitologica, tanto più l’addio sarà armonico e foriero di futuro. Certo non è semplice e ci vuole un interlocutore adatto, cioè la Società. Però  la cerimonia degli addii non è mai  del tutto facile. Ce ne sono di tragicomiche, di “così e così”, di tristissime, ma anche di felici. Prendete Zanetti, arrivato atleticamente integro alla meta, consapevole del limite oggettivo dell’età, una carattere equilibrato e franco, mai incline a dare la responsabilità ad altri soprattutto nei momenti bui: il suo abbandono è avvenuto nel segno dell’armonia. Tanto che oggi siede più che dignitosamente nella stanza dei bottoni. Prendete Del Piero,  il suo lungo addio dignitoso e commovente insieme, ben studiato a tavolino, frutto di reciproche lucidità, eppure spesso a rischio rottura. Ma fu così chiaramente congegnato e figlio di un accordo fra lui e la Juve che, sia pure tra tensioni, andò  civilmente in porto. Dopo aver concesso a Del Piero il rinnovo, Andrea Agnelli annunciò al Consiglio d’Amministrazione  che non ci sarebbero state proroghe. Del Piero si fece ancora la sua stagione di qualche goal e molte panchine ( 28 ) ma l’ultima partita/giro d’onore resta indimenticabile.

    Tristissimo l’addio di Maldini. Un addio senza addio. Un benservito, tra i fischi dei tifosi. Arrivederci e basta, a testimoniare il peso della bandiera. Tristissimo sentirlo dire che “non capiva perché all’ improvviso s’era ritrovato così solo”. Il fatto è che la bandiera può essere un peso per una Società. Il peso appunto d’un simbolo che rischia di offuscare i colori della casa madre: dalle lacerazioni con i tifosi alla campagna abbonamenti. 

    Con Totti, avviato già alla sua stagione finale, la Roma fu molto generosa concedendogli un ricco quinquennale. Quest’anno, quando la barca affondava, non sembra che il Capitano prendesse iniziative tali per risollevare il natante, anzi l’impressione era che se ne stesse su un canotto di salvataggio, in attesa d’un'altra proroga di una anno. Mentre Spalletti annuncia che lo farà giocare contro il Palermo, il Capitano rilascia un’intervista esplosiva al Tg1, chiedendo “rispetto” e che “Spalletti gli dica le cose in faccia”. Quando allenatore e giocatore si vedono, Spalletti gli chiede “ pensi veramente quello che hai detto?”, poi gli comunica l’esclusione e seguono vari “vaffa…”. La sera, all’ Olimpico, Totti va in tribuna. La curva lo acclama e fischia Spalletti. Acclama un simbolo o un giocatore?Intanto Spalletti e i giocatori vincono 5 a 0.

    P.S. Si può comprendere la sempiterna contraddizione tra cuore e ragione che attanaglia le nostre vite e quindi anche la mente del tifoso. Meno si comprende un  signore addetto ai lavori, che dovrebbe dall’alto dei suoi anni di onorata carriera, dimostrare quella serenità di giudizio capace di rasserenare gli animi. Ci riferiamo a Mazzone il quale, intervenendo sul tema, ha avuto l’ardire di sostenere che Spalletti “non è all’altezza del compito di allenare la Roma”. Ci si domanda se l’attempato allenatore abbia seguito o no il campionato di serie A 2015-2016. Se si renda conto che Totti voleva un altro anno di contratto, se arguisca come alla Roma si siano affidati del tutto a Spalletti, anche per fare un lavoro che non è il suo. O forse, non sarà che anche lui sente di poter dare ancora qualcosa, che il suo tempo non è finito e si candida a sedere sulla panchina giallorossa. Così Totti gioca sempre e la bandiera continua a sventolare….

    Altre Notizie