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Un dolore irreale, il ginocchio si rompe ancora: la storia di Rocca, cuore Roma

Un dolore irreale, il ginocchio si rompe ancora: la storia di Rocca, cuore Roma

  • Remo Gandolfi
L’Italia è reduce dalla disfatta tedesca dell’estate precedente.
Ferruccio Valcareggi, il CT della Nazionale che aveva vinto gli europei del 1968 e che si era laureata vicecampione del mondo ai Mondiali messicani di 4 anni prima, viene inevitabilmente esonerato.
Al suo posto arriva un “vecchio saggio” del calcio italiano: Fulvio Bernardini, noto per aver portato ai vertici del calcio italiano squadre non di primissima fascia come la Fiorentina (campione d’Italia nella stagione 1955-56 e addirittura finalista l’anno successivo in Coppa Campioni, battuta dal Real Madrid di Di Stefano e Gento) e poi il Bologna (campione d’Italia nella stagione 1963-64).
Bernardini è un cultore del bel gioco, ama il calcio offensivo ed è bravissimo a scoprire e lanciare giovani.
Al suo fianco dopo pochi mesi arriverà, come collaboratore e allenatore “di campo”,  il friulano Enzo Bearzot, uomo della Federazione ed ex roccioso difensore di Torino e Inter.
La prima uscita di questo nuovo corso è una amichevole in Jugoslavia nel settembre del 1974.
Gli slavi sono una eccellente compagine con giocatori del valore di Suriak, Petrovic e Oblak.
Fra i convocati azzurri spiccano due novità assolute.
Sono due ventenni che si sono già messi in luce nella precedente stagione e soprattutto nelle prime partite ufficiali di Coppa Italia.
Sono Giancarlo Antognoni della Fiorentina (già ribattezzato da molti addetti ai lavori come il nuovo “Rivera” anche se il “vecchio” Rivera ha solo 31 anni e ancora diverse cartucce da sparare) e un terzino della Roma, Francesco Rocca, già un idolo tra i tifosi giallorossi  e soprannominato “Kawasaki” per la sua velocità nelle frequenti scorribande sulla fascia.
Ma se il “Bell’Antogno” fiorentino riuscirà, pur dovendo patire gravissimi infortuni che in qualche modo ne limiteranno possibilità e carriera, quello del giovane terzino romano sarà invece un autentico calvario.
Un terzino assolutamente sui generis, che con il suo modo di giocare richiamava alla mente i due migliori terzini visti al Mondiale tedesco di pochi mesi prima: l’olandese Ruud Krol e il brasiliano Francisco Marinho.
Una devastante forza fisica, una progressione entusiasmante e una dedizione assoluta negli allenamenti, nella cura della tecnica e del proprio fisico.
A queste eccellenti doti fisiche e umane la grande fortuna di imbattersi nel “maestro” Niels Liedholm, unico nella sua capacità di trasformare diamanti grezzi in pietre preziose di primissima qualità.
Ore e ore passate sul campo di allenamento ad affinare la tecnica individuale, a migliorare il piede sinistro, l’abilità nei cross e la capacità di marcare a zona, novità assoluta nel panorama del calcio italiano, per poi saper scegliere il momento giusto per l’inserimento in avanti.
Per due stagioni, tra il 1974 e il 1976 Francesco Rocca sarà indiscutibilmente il miglior terzino italiano e uno dei più forti al mondo, a livello dei due campioni sopracitati.
Nella stagione 1974/75 la Roma è protagonista di un campionato strepitoso.
Un terzo posto finale con alcune vittorie eclatanti come quella contro la Juve (che poi vincerà il campionato) e in entrambi i derby contro la Lazio.
Terzo posto raggiunto con un calcio moderno, organizzato e assolutamente spettacolare.
Il portiere Ginulfi, il libero Santarini, le due mezzali Cordova e De Sisti, il bomber Pierino Prati sono i giocatori di maggior classe della squadra.
Ma colui che attira su di sé le maggiori attenzioni grazie ad una continuità di rendimento eccezionale e soprattutto alle sue spettacolari incursioni sulla fascia è proprio lui, Francesco Rocca.
Diventa l’idolo assoluto della tifoseria.
Nato a San Vito Romano, a una mezz’ora d’auto dalla capitale, il 2 agosto del 1954, diventa ben presto un titolare inamovibile in Nazionale anche se la mancata qualificazione agli Europei di Jugoslavia del 1976 per mano dell’Olanda sarà una cocente delusione per il giovane difensore della Roma.
La stagione successiva, pur non essendo per i colori giallorossi all’altezza della precedente (chiusa con un anonimo 10mo posto), confermerà appieno tutte le qualità di Rocca.
E’ sempre l’ultimo a “mollare”, anche quando la partita sembra ormai compromessa.
Il suo ardore agonistico, la sua generosità e il suo coraggio lo hanno fatto entrare definitivamente nel cuore di tutti i tifosi giallorossi.
Walter Sabatini, suo compagno di squadra in quel periodo e ora apprezzatissimo dirigente calcistico lo definirà senza mezzi termini “il più forte calciatore con il quale io abbia mai giocato. Aveva semplicemente tutto. Qualità fisiche, tecniche e morali”.
Superata la delusione per la mancata qualificazione agli europei del 1976 la Nazionale italiana parte per una tournée negli Stati Uniti dove il calcio sta muovendo i primi, faticosi passi.
C’è il torneo del Bicentenario, istituito per celebrare appunto i 200 anni di vita degli Stati Uniti d’America.
L’Italia perde nettamente contro l’inarrivabile Brasile, poi di misura contro l’Inghilterra (altra grande assente alla fase finale degli Europei) e liquidiamo con un perentorio 4 a 0 la giovane e inesperta nazionale statunitense.
Uno dei 4 gol è segnato proprio da Francesco Rocca al termine di una classica azione delle sue: palla rubata a metà campo e prorompente progressione chiusa con un gran destro a fil di palo.
Sarà il suo primo e purtroppo anche ultimo gol in Nazionale.
A settembre si ricomincia.
La Roma ha ringiovanito le proprie fila, dando spazio in prima squadra a giovani e promettenti calciatori provenienti dalle giovanili o al rientro dai classici prestiti per “farsi le ossa”.
Due di loro diventeranno in breve due colonne portanti della Roma del futuro: Agostino Di Bartolomei e Bruno Conti.
E’ il 10 ottobre del 1976.
Siamo alla seconda giornata di campionato.
La Roma, dopo un buon pareggio esterno all’esordio nella trasferta con il Genoa, è attesa all’Olimpico dal Cesena.
Passano solo tre minuti di gioco quando Bittolo, l’ala del Cesena e avversario diretto di Rocca, entra in scivolata da dietro su un innocuo pallone che il numero 3 della Roma sta accompagnando in fallo laterale.
Il colpo è sul polpaccio. Il ginocchio fa un movimento innaturale, con una flessione ed una estensione in rapida sequenza.
Rocca sente un piccolo dolore al ginocchio ma senza dargli troppo peso.

L’adrenalina dell’esordio stagionale davanti al proprio pubblico, l’intensità del match e il carattere indomito di Francesco combinano a zittire quel piccolo segnale d’allarme.
Rocca continua a giocare una eccellente partita ma il dolore con il passare dei minuti aumenta e si fa sempre più insistente.
Francesco termina l’incontro ma il ginocchio inizia a gonfiarsi in maniera importante e fa un male terribile. La notte non chiude occhio.
Il sabato successivo c’è la Nazionale.
Inizia il cammino verso i prossimi mondiali in Argentina e per Bernardini e Bearzot Rocca è uno dei titolari indiscutibili.

Lo staff medico della Roma prima e quello della Nazionale all’arrivo a Coverciano decidono che “Kawasaki” è in condizione di giocare contro il Lussemburgo.
“Basteranno tre giorni di assoluto riposo” gli viene detto “ghiaccio in continuazione e articolazione in scarico. E tutto andrà a posto” sentenziano i medici della Nazionale.
Maledetta ignoranza e superficialità.
Francesco si accorge che c’è qualcosa che non va… ma chi è lui per andare contro il parere dei medici?

In fondo ha solo 22 anni e poi come si fa a dire di no alla Nazionale?
Francesco giocherà tutti i novanta minuti di quel match ma il suo contributo, nella netta vittoria degli azzurri per 4 a 1, sarà veramente minimo.
Sui giornali dell’epoca la sua prestazione sarà unanimemente stroncata.
Uno dei peggiori in campo.
Si prenderà anche un “5 –“ da uno dei suoi più grandi estimatori dell’epoca; Gianni Brera.
Il guaio al ginocchio sinistro lo ha condizionato per tutta la partita e quando riprende gli allenamenti con la sua Roma la settimana successiva il problema è tutt’altro che risolto.
E’ il 19 ottobre.
I giallorossi si stanno allenando alle Tre Fontane.
Rocca sta semplicemente palleggiando con alcuni compagni di squadra.
Con loro c’è anche l’ex-arbitro internazionale Lattanzi.
Mentre Rocca sta per calciare con il destro portando il peso del corpo sull’altra gamba il ginocchio sinistro cede.
Il terzino della Roma si ritrova lungo disteso a terra.
E’ un dolore assurdo, irreale.
Per qualche secondo Rocca perde addirittura i sensi.

Viene portato fuori a braccia.
Due giorni dopo Francesco Rocca verrà sottoposto ad un intervento chirurgico dal Dottor Perugia e dalla sua equipe.
Il responso è sconfortante.
Coinvolti i legamenti, il menisco esterno, la capsula e c’è un distacco osteo-cartilagineo del condilo femorale interno.
Per Francesco, per i compagni, per il club e per i tifosi la botta è tremenda.
Sono infortuni che in quel periodo non lasciano molte speranze.

Un semplice menisco vuol dire mesi di inattività e spesso il recupero non è mai completo.
Qui c’è un ginocchio praticamente da ricostruire.
Francesco Rocca da San Vito Romano non è uno che molla facilmente, anzi.
Un mese e mezzo di gesso con il tono muscolare che se ne va completamente.
Rieducazione, fisioterapia, tanti pesi in palestra per recuperare almeno in parte la tonicità del muscolo della gamba sinistra.
Le prime corsette, il pallone e finalmente il ritorno in gruppo.
E’ il 17 aprile del 1977 e Francesco Rocca torna finalmente in campo, a Perugia.
La Roma perde 3 a 0, lui gioca una partita abbastanza anonima ma come può essere diversamente dopo una così lunga assenza?
Ma da quel giorno torna titolare.
L’incubo sembra finito.
Ma non è così. Tutto effimero.
Neppure un mese dopo Francesco si deve fermare.
Il ginocchio ha ricominciato a fare male, a gonfiarsi a dismisura.

A giugno la Roma parte per una tournée nel Nord America.
Rocca sta male ma è lui la grande attrazione della squadra ed è lui che i nostri connazionali emigrati vogliono vedere in campo.
Subirà una doppia umiliazione.
Quella di scendere in campo in condizioni talmente precarie da sembrare la controfigura di se stesso e di dover uscire dopo pochi minuti nella prima gara mentre nella seconda le cose vanno anche peggio.
Francesco non vorrebbe giocare questo match. Sente che il ginocchio non è a posto. La società insiste. Ci sono l’immagine e soprattutto il portafoglio da salvaguardare. Qualcuno vede nell’atteggiamento del terzino una forma di ritorsione per non aver ascoltato la sua preghiera di rimanere in Italia a curarsi per tornare al meglio alla ripresa degli allenamenti.
Assurdo per uno come lui che ci metteva l’anima anche nelle partitelle in allenamento.
La Roma la spunta e Francesco nella successiva partita in Canada accetta di andare in panchina.
Contro i Vancouver Whitecaps Rocca entra nel secondo tempo al posto del compagno di squadra Maggiora. Al primo scatto, su un lancio dalle retrovie, si ferma di colpo.
Il ginocchio ha ceduto ancora una volta.
Esce dal campo in lacrime.
La Roma si vedrà costretta ad annullare le restanti amichevoli a San Josè e a San Francisco.

Senza Rocca in campo non c’è alcun interesse da quelle parti a veder giocare i giallorossi.
Nel settembre del 1977 Rocca va a Lione dal celebre chirurgo Prof. Trillat, luminare nel campo degli infortuni al ginocchio.
Per lui il problema sono i legamenti che sono da ricostruire completamente.
Due ore e un quarto di intervento alla fine del quale il Professor Trillat ammette che la situazione, anche stavolta, è peggiore del previsto: la stabilità del ginocchio è compromessa. Si parla comunque di un “70% di possibilità di un pieno recupero”.
Non sarà così.
Altre tre operazioni, altri tre sempre più disperati tentativi di recupero.
Nel frattempo Francesco, grazie ad un carattere e ad una determinazione quasi sovrannaturale, ritorna sempre in campo mettendo insieme in questi 5 anni di autentico calvario quasi 70 presenze.
Il 3 agosto del 1981 Francesco Rocca dirà basta.
Ha solo 27 anni.
Lascia il suo amato calcio con la morte nel cuore.
Lui che a 17 anni era andato ad un passo dal firmare un contratto con la Juventus e che invece il vecchio “mago” Helenio Herrera aveva assolutamente voluto nella primavera della Roma dopo averlo casualmente visto all’opera in un'amichevole.
L’etica del lavoro, del sacrificio, delle rinunce hanno sempre fatto parte della natura di questo grandissimo calciatore che ha giocato fino a 27 anni ma la cui carriera è virtualmente finita a 22, quel giorno di ottobre alle Tre Fontane.
Grazie al compianto Artemio Franchi Rocca ha potuto lavorare per anni a fianco di tanti allenatori della nostra Nazionale, creando con alcuni di loro una simbiosi professionale importante, come con Giovanni Trapattoni che arriverà a definirlo “il mio braccio destro”
Farà poi l’allenatore per praticamente tutte le categorie Under della Nazionale italiana, sempre con una professionalità ed un rigore rari in un mondo dove invece amicizie e clientelismo hanno spesso la meglio sulle qualità umane e sulle conoscenze.
E con un particolare non da poco, che Rocca ama raccontare ancora oggi con il giusto orgoglio.
“In 27 anni di carriera da allenatore e preparatore nessuno dei miei ragazzi ha mai patito un infortunio muscolare. Zero assoluto.
Ho passato le notti sui libri di biomeccanica e su quelli sull’alimentazione e il mio lavoro sul campo è sempre stato mirato. Dicono che facevo allenamenti durissimi. E’ vero ma conoscevo sempre fin dove potermi spingere. Vi sembra un record da poco?”
Con la Roma non è stato tutto rosa e fiori.
In società ci si è forse dimenticati troppo presto di lui e questa è una ferita che rimarrà sempre aperta nel grande cuore di Francesco Rocca.
I tifosi giallorossi però non si sono mai dimenticati di lui e non lo faranno mai.
“Sono un uomo fortunato, grato alla vita” ama ripetere Francesco oggi.
“Ho giocato per la squadra che amo davanti ai tifosi più “belli” e appassionati d’Italia. Ho vestito per 18 volte la maglia della Nazionale e sono pure riuscito a fare un gol!” aggiungendo poi che “Si, potevo essere più fortunato, ma al mondo c’è tanta gente che sogna quello che ho avuto io dalla vita”
E’ di pochi anni fa un sondaggio tra i tifosi della “Lupa” per eleggere la “Hall of fame” di tutti i tempi.
Francesco Rocca è lì, a fianco di Falcao, Bruno Conti, Amadei, Bernardini, Pruzzo o Losi.
“Ne sono così orgoglioso!” ammette Rocca che poi quasi si schernisce aggiungendo “… veramente faccio fatica a capire perché mi vogliano ancora così bene… in fondo io ho giocato solo tre anni”.
… più che sufficienti per entrare nella leggenda della AS ROMA e nel cuore di tutti i tifosi.
 
IMPORTANTE:
Prima di pubblicare questo pezzo ho voluto contattare personalmente Francesco e la figlia Chiara. Credo sia una forma importante di rispetto dovuto alla “persona” prima ancora che al calciatore, all’atleta o al “personaggio”.
Senza il loro benestare sarebbe rimasto nel cassetto, come tante altre piccole storie scritte in passato. Invece Francesco Rocca e la figlia Chiara me ne hanno dato il permesso e i loro complimenti me li tengo stretti stretti e mi riempiono di orgoglio.
Grazie di cuore.
 

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