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  • Uno juventino a Roma

    Uno juventino a Roma

    • Omar Savoldi

    Sono un tifoso lugubre: la mia squadra non mi basta mai, 5 scudetti di fila sembrano troppo pochi, e poi conta la Champions e poi la Supercoppa…Non esigente, lugubre. Perché una sconfitta la ricordo più di 10 vittorie, perché l’Old Trafford è ancora un teatro di un dramma elisabettiano con la tragica fine ai rigori. E “Grazie Magath!” Chi se lo dimentica? Va sempre peggio. Ogni tanto è vero, ma non sempre. Il centrocampo, quest’anno, è il più debole dell’ultimo lustro; c’era bisogno di Dani Alves? Però non l’ho mai mollata. Sono andato al Picco a vederla contro “lo Spezia” (1 a 1) nel Purgatorio della B e ho continuato a subire la diffidenza se non lo sprezzo degli altri.

    Sì. Sono uno juventino a Roma e faccio parte di un inesauribile paradosso: sto in una maggioranza che è sempre in minoranza (forse anche a Torino) perché in Italia il numero degli Juventini è preponderante, ma è come nel sistema maggioritario: se arrivi secondo dappertutto non becchi un deputato, anche se hai la maggioranza dei voti nell’intera nazione, ma non a casa tua. A Lucca, dove sono nato, ero secondo dietro la Fiorentina, a Firenze idem, a Milano, terzo o quarto. Ora, a Roma, non lo so in che graduatoria mi trovo, ma non primo e comunque quando cammino ‘Tuttosport’ lo tengo piegato nel giaccone (non si sa mai). Al mercato, per fare la spesa, non prendo parte ai certami del lunedì perché ho cattivi ricordi. Siamo a molti anni fa, si giocava la finale della Coppa dei Campioni (mi pare si chiamasse ancora così) Roma-Liverpool e il mio panettiere sapeva della fede bianconera: “ Dottò - mi chiede - stasera perchi si tifa?” Io non sono certo Riccardo Cuor di Leone, non me la cerco, ma se mi cercano dico la verità: “Son per il calcio. Spero di vedere una bella partita”. “Ah…quindi lei nun è pe’ gli italiani? Gli italiani sono la Roma! Ma lei è juventino e proprio nun ce la fa! Il pane oggi nun lo pija….”. E andò avanti così per un po’, ma il pane “nun lo pijaaaai”.

    Prima o dopo, la Capitale fu turonizzata per una decina d’anni (non è ancora guarita oggi) e poi, continuamente, trionfava la “ggggggeopolitiga, che tutto falsa, tutto corrode…a favore de a’ Juve e delle milanesi”. I romanisti si sentono, antropologicamente - non politicamente - eredi dell’ Impero terrestre, Roma antica, e di quello celeste , il Papa. Secondo loro dovrebbero primeggiare nei due campionati a disposizione: quello terreno e quello divino. La famosa barzelletta in cui un romano risponde a Berlusconi trionfante (“A’Berlusco’ quando te eri nelle caverne, noi eravamo già froci!”) rende bene l’idea d’un senso di superiorità decadente che pervade tutta la città. Per la squadra è lo stesso. Anzi, nel sentimento romanista si concentra tutto il senso dell’ “immensamente massimo rovinato da un destino buggiardo”. E difatti: “Roma capoccia der monno ‘nfame!” (ma va dato onore al tifoso Venditti di aver scritto per la sua squadra il più bell’ inno in circolazione). E di chi è la colpa maxima dell’ infamia? Del nord, e della Juve. Di chi vince, in generale, perché a vincere non erano forse destinati loro: i romani-romanisti?

    I laziali stanno più defilati, nutriti dalla propria origine minoritaria. Campano di rivalità, come tutti coloro che da sempre convivono con due squadre cittadine e soprattutto sono abituati, da tempo, a lottare contro se stessi. Contro il proprio Presidente, ma anche contro l’illusione di vincere, prima o poi, uno scudetto. Con la grande Lazio di Maestrelli, comunque, lo juventino era preso di mira dai laziali e più tollerato dai romanisti, perché i nemici principali restano sempre loro, lupi e aquile. Così, fra i rispettivi alti e bassi, si poteva trovare non certo comprensione, ma tolleranza dall’ una o dall’ altra parte.

    La Roma, ormai da anni, è una buona squadra; arriva seconda o terza e quando si avvicina la partita con la Juve partono le mani avanti con braccia lunghe almeno 20 chilometri. Nemmeno tanto originali: “Orsato (l’arbitro di domani) è a lista paga, ieri l’hanno visto a tavola in un ristorante di Chioggia col figlio di Moggi..”; “L’assistente di porta è un impiegato della Ford, quindi fa parte del mondo automobilistico, quindi della Fiat…; “L’hai vista l’erba dello Stadium? E’ tagliata in modo tale che, nel secondo tempo (noi nel secondo tempo prendiamo più goal) se non lo sai scivoli. Ci vogliono dei tacchetti speciali…”. E così via. A Roma, da almeno una settimana, questa è la litania, forse per esorcizzare una possibile sconfitta, per allentare la tensione. Poi, se domani la Roma dovesse vincere, partirebbero i caroselli, mentre se accadesse l’ opposto, a Torino, non si sentirebbe volare una mosca. Sì, diciamocelo, è anche una questione di fame. Atavica.

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