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  • Atalantamania: è impresa, è storia. E la scrive un numero 10 argentino

    Atalantamania: è impresa, è storia. E la scrive un numero 10 argentino

    • Marina Belotti
    Ho visto l’Atalanta.
    Sembrava impossibile che la squadra in campo contro lo Spezia, spenta e floscia, potesse anche solo pareggiare nel tempio del calcio contro campioni del mondo che l’avevano già asfaltata. Sembrava impossibile, come lo è pensare che il Dio del calcio questa volta ci abbia lasciati per davvero.
    Ho rivisto l’Atalanta. Quella equilibrata, affamata, aggressiva, quella di qualche mese fa. Quella che a Diego sarebbe piaciuta tanto e che tanto deve aver applaudito da lassù. Ammirando felice quel suo connazionale argentino, un 10 sulla schiena che pesa sul corpo di un folletto, librarsi leggero tra l’erba di Anfield per servire due sfere de oro che scrivono la Storia.  
     
    SULLE ORME DI MARADONA- Perché Papu Gomez, nato in Argentina 28 anni dopo la sua Leggenda, è cresciuto a pane, calcio, e Diego Armando. Lui che Madre Natura gli ha riservato lo stesso fisico-quei famosi 165 centimetri per 68 kg- e la stessa grinta, la stessa voglia di prendere per mano i compagni, per i piedi un pallone, e correre verso la rete contro tutto e tutti. Ieri, in quel minuto di silenzio, durato poi 90’ nella muta Kop, e negli occhi lucidi del tuttocampista, si rifletteva già la partita che fu. Giocata da un capitano per un capitano che, lo scrive Gomez a fine gara, “oggi sarebbe super orgoglioso di noi, questa vittoria la dedichiamo a te”. Ad applaudirlo da casa il terzogenito Milo nato, neanche a dirlo, lo stesso giorno di ‘Dieguito’. E proprio nel giorno in cui è morto anche il calcio, il bel calcio della Dea risorge sotto i colpi di un altro 10 argentino, che sforna due cross al bacio dalla sinistra, per due sigilli che rimarranno per sempre nella storia nerazzurra. Insieme a una data, impressa negli annali. 
     
    25 NOVEMBRE 2020- Ma questa data farà sorridere solo i bergamaschi, che tra qualche anno racconteranno a nipoti e bis nipoti l’impresa di Anfield. Per tutti gli altri, sarà solo la morte del Dio del calcio. Ma in fondo, alla Dea non importa per niente che non si parli di lei. Zitti, zitti, testa china e lavorare, è stato da sempre il mantra dei nerazzurri, ben felici che giornali e testate omaggino il Genio del calcio all’indomani della magica notte inglese. Quello che li rammarica per davvero, più di qualsiasi cosa, è non averla vissuta con i 3mila che 3 anni fa volarono al Goodison Park. Se la sarebbero meritata gli atalantini questa trasferta epica: eppure non l’ombra di amarezze e lamentele, solo applausi e grazie per aver sognato dal sofà. Del resto non c’è mai stato, nelle imprese orobiche, spazio per allegria e distrazione: Coppa Italia vinta mentre scompariva il Papa bergamasco, Final Eight raggiunta mentre il Covid falcidiava la provincia, Anfield espugnato nella notte di Maradona. E, nel viaggio aereo di ritorno, mister Gasperini che preparava già la formazione anti-Hellas. Niente celebrazioni, bisogna riprendersi i punti persi in campionato.
     
    LOTTAVI PER GLI OTTAVI- Perché se mister Klopp non ha sottovaluto l’Atalanta soltanto a parole, ormai le italiane conoscono fin troppo bene mosse e contromosse del tecnico nerazzurro. Presto spiegati quindi i punti persi in campionato. L’Atalanta adesso è già in Europa League, ma solo vincendo martedì col Midtjylland si proietta a un passo dagli ottavi. Aspettando al varco l’Ajax, il 9 dicembre ad Amsterdam. Sabato, spazio a Miranchuk, Lammers, Palomino e Sutalo. Perché l’Europa più bella ormai è del giovane Pessina, che copre così bene quella mediana che ha preso il raffreddore per il troppo tempo senza coperta. È di Robin Gosens, che dopo tre anni ha chiuso un cerchio tornando a segnare a Liverpool. È di Gian Piero Gasperini, che senza punte ha trovato la quadra. È di Pierluigi Gollini, che dopo 9 mesi è tornato a indossare i guantoni stellati per gridare no a Mané e Salah. È di Josip Ilicic, che si è ripreso la cattedra di Professore, con classe, voglia e tiri mancini, nella gara più importante. E, soprattutto, è di Alejandro Dario Gomez, quell’argentino col 10 nel cuore e sulla schiena che ieri ha celebrato il Dio del calcio facendo rivedere a tutti l’Atalanta.  

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