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  • Bucciantini: Inzaghi, dicci chi sei

    Bucciantini: Inzaghi, dicci chi sei

    La cosa più imbarazzante per le due squadre di Milano è che in fondo, le partite e i risultati di ieri hanno rispecchiato la classifica del fischio d’inizio: Genoa e Udinese hanno legittimato e dilatato la loro posizione in classifica, migliore – rispettivamente – di Milan e Inter. Probabilmente (ma non più scontatamente) la classifica finale si normalizzerà, ma i valori di oggi sono questi. Non c’è sorpresa tecnica o tattica (emotiva, sì). 
    Il Genoa sta mettendo risultati importanti nella sua memoria e nella sua fiducia: la Lazio, la Juventus, adesso il Milan, e anche la vittoria a Udine.  È una squadra duttile, capace di adattarsi a diversi ritmi e diversi schemi, Gasperini cambia ogni partita uomini, lati, trame. I numeri sono chiari: la classifica è costruita sulla solidità difensiva, i gol subiti sono (in media) meno di 1 a partita (e questa è la cifra anche della Sampdoria, in attesa del match di Verona). Al netto di Perin, che è in stato di grazia, la tenuta difensiva è il tratto distintivo delle squadre che fanno le cose perbene, e durature, e infatti è l’andatura della Juventus, della Roma, e della Fiorentina, che da quando ha rinfrescato l’assetto subisce assai meno. 
    Per tornare al Genoa, è anche una squadra che riesce a trovare comunque il gol, perché ha qualità diffusa e soprattutto sa intervallare la sofferenza con momenti di forza, perché ha giocatori di personalità, di sensibilità, capaci di raccogliere il meglio da pochi minuti, e poi tornare al lavoro sodo: anche questa è una qualità. E come si è detto sopra, è difficile prendere punti di riferimento a una squadra che sa cambiare uomini senza snaturarsi, e sa muoverli in campo a piacimento, alternando momenti di palleggio ad altri di corsa.

    Il Milan ha pian piano perso la sua bella impressione settembrina: quella di saper creare molto, e per molte vie, soprattutto laterali. Adesso, vive dei sussulti di Menez, quasi tutti individuali, dall’inizio alla fine. La catena di fascia s’è inceppata perché era sostenuta dalla qualità atletica di Abate e De Sciglio, assenti a Genoa e comunque non troppo continui nelle presenze e nel rendimento. Così Honda – che ha bisogno della squadra e dei tempi di gioco - è tornato un Ufo. El Shaarawy invece ha meno alibi: non riesce proprio ad entrare in area. Gli altri attaccanti hanno un impiego saltuario, senza avere offerto niente per convincere Inzaghi a dar loro di più. Dalla mediana succede poco, Montolivo è una possibilità, Bonaventura (forse) andrebbe avvicinato alla porta, ma al posto di chi? La difesa è buona nei cognomi, è profonda nell’organico, eppure ogni partita concede qualcosa. In generale, Inzaghi è condannato dall’evidenza: il suo Milan prometteva, eppure invece di consolidarsi si è deperito partita dopo partita, nonostante l’assenza dalle coppe permettesse di mirare alla domenica con molto tempo a disposizione. I tremori della difesa non sono più nascosti dalla facilità dell’attacco, e nel mezzo il centrocampo è sempre quello: né sapiente, né robusto, né aggressivo, non accorcia davanti, non protegge dietro. Ma senza girarci troppo intorno, Inzaghi deve ritrovare qualcosa da aggiungere in fretta, o sarà impossibile evitargli il tarlo del dubbio sull’idoneità al ruolo perché il dito punta sempre lì, in panchina: dovrebbe, onestamente, rivolgersi più spesso verso la tribuna, dove siedono dirigenti o proprietari che sembrano non aver sopperito con il talento e le idee alle ristrettezze economiche. Non vale solo per il Milan (anche per l’Inter, la Fiorentina, il Napoli…): l’estro non è importante solo in campo, e ce n’è poco in scelte semplici (perfino controproducenti) come quelle che portano a Torres o Gomez. Intuire un Dybala è più faticoso, scommettere su un Perotti o azzardare un Valdifiori (l’Inter un regista semplice e ordinato così non ce l’ha) chiede coraggio e voglia di battere strade nuove, magari lontano dai soliti procuratori.

    Più strano ragionare su Inter-Udinese, partita che i nerazzurri capiscono in fretta e possiedono con sconosciuta personalità. È però troppo faticoso trasferire la palla in velocità, così da affannare l’Udinese. Resta un gol, di Icardi, che va imboccato – d’accordo - ma se gli offri il pane, lo divora. E quel gol evapora in un secondo tempo dove l’Udinese fa tutto quello che l’Inter non sa fare: attacca in velocità, con pochi uomini ma mossi bene, e crea, e alla fine realizza anche per stoltezza altrui. Resta misteriosa la quantità di spazi a disposizione: quel vantaggio minimo meritava maggiore protezione e umiltà. Ma l’Inter ha troppi giocatori che tendono al sottoritmo, specie in mezzo al campo. E siamo alle solite: alla domanda su quale zona di campo preferiscono frequentare, i quattro titolari di ieri (Medel, Kovacic, Guarin, Kuzmanovic) risponderebbero probabilmente la stessa cosa, anche se poi lavorerebbero con caratteristiche diverse. E Hernanes, anche lui, starebbe lì, nel mezzo, al centro. Nessuno si muove senza palla, nessuno raddoppia le marcature in velocità, nessuno si lancia in uno spazio esterno. È dura fare calcio così. E Mancini è abituato a signoreggiare nel superattico, mentre qui c’è da sgomberare la cantina. Eppure, il tecnico è l’unico appiglio dell’ambiente: anche l’unica garanzia che Thohir farà giocoforza qualcosa, a gennaio.

    Le milanesi sono squadre da terra di mezzo, con ambizioni superiori alle qualità: qui si dice da agosto, e molti tifosi (a leggere i commenti) sono scesi a patti con la realtà. Come sarebbe giusto fare a Napoli, dove l’imbattibilità è una truffa: nel miglior periodo (con lo sfarinato alibi di qualche infortunio, ma chi non li ha?), la corsa è inquinata da tre pareggi consecutivi, due casalinghi, e 5 reti subite da Cagliari e Empoli, due squadre che pensano il campo come fa il Napoli, con splendida superbia, e infatti raccontiamo belle partite: una squadra forte però parlerebbe la stessa lingua e raccoglierebbe più punti. Ma il Napoli non è una squadra forte: non lo è per troppe partite consecutive, quindi è negazione stessa del termine. È una squadra bella, bellissima, e talvolta forte, anzi, a momenti la più forte della Serie A. Ma Benitez non è riuscito infondere mentalità al gruppo, ad elevarlo da un difetto emerso già ai tempi di Mazzarri: il Napoli è esposto a troppe partite, mentre se vuoi vincere lo scudetto bisogna gestire senza tremori e fatiche almeno metà del calendario.

    Eppure una riga la merita l’Empoli, che copre il campo con coraggio e ambizione, velocità e idee. Si vede il lavoro della settimana, quello che sembra mancare alle squadre maggiori, troppo compassate, troppo affidate ai migliori (anche nel lavoro difensivo) e poco alla voglia e al protagonismo collettivo. E come l’Empoli, il Sassuolo (ma l’Empoli è più “organico” e corale, e più debole nei valori individuali). Sulla mezza impresa emiliana grava poi il sospetto che la Roma abbia sbagliato qualcosa: non sabato sera, ma d’estate, nelle uniche smagliature di un lavoro profondo e decisivo di Sabatini. Il grosso della spesa è stato Iturbe: a Verona raccoglieva il disimpegno (il primo passaggio utile nella manovra) e s’incaricava di trasportare la palla in avanti, e spesso di concludere. Quando gli capitava di irrompere in un’azione governata da altri, lo faceva in velocità, da dietro, assecondando uno spazio. A Roma gli tocca il sesto-settimo passaggio, e non ha campo davanti per sentirsi forte, per esprimere le sue sicurezze e bravure. Un po’ come Ilicic a Firenze: sono ottimi giocatori inseriti in una trama che li penalizza. Infatti sono i peggiori (in questo momento) dei loro reparti. Poi c’è l’altro calcolo estivo che mostra dei limiti autunnali: davvero De Sanctis è un portiere titolare per una squadra che vuole mettersi fra le migliori d’Europa? E giusto chiedere a un ottimo portiere il suo miglior rendimento mentre cammina sul viale del tramonto della lunghissima carriera? Le grandi prestazioni (ci sono state) si sono rarefatte, più ripetute sono le piccole avvisaglie di un rendimento in calo, un tracciato che l’età anagrafica indicherebbe come irreversibile. Può essere importante un giocatore come De Sancits in un gruppo di caratura, perché abbina alla bravura una robusta dose di carattere, ma bisogna pensare a cercare un titolare in quel ruolo, e la Serie A offre 4-5 portieri sui quali si può investire. Intanto, il nostro pallino è ormai un deposito di ori: la purezza timida di Ljajic conquista carattere e fiducia, appaiando l’utilità alla classe, finalmente. E deprezza la spesa per Iturbe, sostanzialmente comprato per prendersi i minuti in campo del serbo e di Florenzi (l’altro migliore dei giallorossi, in queste settimane…). 

    E così le briciole lasciate lì dalla Juventus restano sul tavolo, nessuno se ne nutre perché la vittoria della Lazio non sembra ancora riallacciarla a quella qualità mostrata un mese fa, le conferme adesso sono d’obbligo, e Parma sembra un porto di mare dove si arriva, si prende e si riparte. Ghirardi se ne va, in pochi mesi è decaduto da artigiano dei miracoli di provincia a impostore. Quelle che sembravano bizzarre trovate per assicurare risorse (la compravendita di 200 giocatori l’anno) sono diventate il chiodo che ha aperto una crepa a quel punto irrimediabile. Il Parma si è spaccato e poi sbriciolato come un pezzo di legno bacato. Adesso arriva una cordata russo-cipriota: dunque padroni diversi, assemblati, e già non è un inizio cristallino. Curioso che sia stato dato l’annuncio e dopo molte ore non si riesca a sapere chi e quanti siano questi proprietari, se non che sembrano del settore petrolifero. Tutto questo non sminuisce la vittoria della Lazio, ma un po’ di sano realismo serve, dopo le recenti delusioni per una squadra che sa fare molte cose, così come sa sparire dal campo senza avvisare.

    La Fiorentina si esalta nell’impattare la Juventus ma non ha le sicurezze e la qualità d’attacco per batterla, e nemmeno per tentare fino alla fine. Riesce a soggiogarla nel palleggio (si ribella solo Pogba, gli altri subiscono) con i suoi centrocampisti che adorano masticare calcio, e non tirano mai, e non vanno mai in area, nemmeno gli esterni. Anche a Firenze c’è un problema: è Gomez. Tutte le scuse – anche le più sincere, come la difficoltà nel costruire gioco d’attacco con una seconda punta atipica come Cuadrado, e il silenzio degli esterni alla voce cross – sono ormai oratoria da parenti stretti: il tedesco non è l’attaccante ideale per la sua squadra. E il suo contributo, anche nel migliore e più felice dei casi, si limiterebbe al gol, merce in un certo senso “ridotta” che si poteva comprare a prezzi più onesti, e che adesso può garantire con più continuità Babacar. Montella ha ricostruito la squadra, molta pienezza è stata ritrovata cambiando schema senza ferirne la pelle: è stato bravo, come sempre. Adesso sia cinico e metta in campo un centravanti, non un cognome.

    Marco Bucciantini

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