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  • Carpimania: tanti nomi ma poche idee

    Carpimania: tanti nomi ma poche idee

    • Gabriele Pasca

    A poco più di due settimane dall’inizio del campionato, il Carpi incomincia a definire i propri assetti futuri. L’esordio, in trasferta contro la Sampdoria, ci darà la possibilità di vedere concretizzato il progetto della dirigenza emiliana, che avrà come principale obbiettivo la salvezza. Quello che più balza all’occhio, passando in rassegna una rapida cronistoria delle mosse di mercato del biancorossi, è il repentino cambio di rotta rispetto alla vocazione tutta nostrana per la quale la neopromossa si era distinta nella stagione scorsa. I numeri parlano chiaro e, al netto di valutazioni personali circa l’opportunità di determinate scelte, ci consegnano un Carpi decisamente multietnico.


    Se, fino a un paio di mesi addietro, i giocatori stranieri in rosa erano appena quattro, oggi sono più del doppio, dieci per l’esattezza. Considerato il numero totale degli acquisti (tredici), possiamo ben capire quale rivoluzione abbia subito il club di via Karl Marx. Scartando l’ipotesi della volontà tutta “politica” di integrazione tra culture, campagne acquisti di questo tipo riflettono il malessere di una massima serie incapace di compiere scelte lungimiranti. Prova ne sia l’assoluta predominanza dei prestiti tra le tipologie contrattuali preferite dalle società.

    Sono lontani i tempi dei vivai, delle giovanili quali luogo di formazione professionale e “spirituale”, in grado di temprare e rendere grandi ragazzi che, lasciati soli o, peggio, in balìa di manager estrosi, sarebbero balzati agli onori delle cronache per gesta, diciamo così, poco opportune. Oggi le squadre sono “a tempo”, costruite per durare una stagione perché, tanto, “nel doman non v’è certezza”. Si noti quale privilegio scenico rivestano gli acquisti di giocatori, ormai, a fine carriera: colpi di mercato, li chiamano. Tanto parlare ha fatto la trattativa con Gilardino, ad esempio, come se potesse essere quella la strada, tortuosa ed in salita, per la salvezza e non un continuo miglioramento dei punti di forza che hanno reso una giovane squadra di provincia tanto grande (almeno ad alti livelli). “Basta che funzioni”, direbbe Woody Allen e noi, con lui, speriamo bene.


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