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  • Dias-Burdisso:| Facce da derby

    Dias-Burdisso:| Facce da derby

    Brutti, sporchi e cattivi. Onestamente, è difficile stabilire quale dei due sarebbe meglio non incontrare di notte, in un vicolo buio. Se il bandito Burdisso (nomen omen?) o il colosso Dias, un Bud Spencer senza barba. Così, incrociandoli sul marciapiede, presi singolarmente, l’uno e l’altro farebbero subito abbassare gli occhi, senza poterne coglierne la notorietà. Incrociandoli insieme, poi, si potrebbe pensare di trovarsi a Coney Island, giù al sud di New York, e di avere a che fare con due guerrieri della notte.

    Uomini di cuore e leader
    E invece —è voce di popolo—, Nicolas e Andre sono due pezzi di pane. Grandi, grossi e giuggioloni, si dice a Roma. Tutti casa e campo. Dias pure chiesa: è molto religioso, in questo tipicamente brasiliano. Come Hernanes, forse pregano pure assieme. Entrambi, hanno moglie e figli. Burdisso ha lottato come un leone per strappare la sua Angelina ad un male terribile, e ce l’ha fatta, perché ogni tanto qualcuno ce la fa. Dias è diventato padre di due gemelline a luglio, e con la famigliola vive all’Olgiata. I tifosi della Lazio lo definiscono un «cattivo gentiluomo: belva in campo, ma sempre corretto. Un campione di umanità fuori: sorridente, protettivo, chioccia, un fratellone per i compagni. Un punto di riferimento nello spogliatoio biancoceleste». Se non fosse della Lazio, si direbbe che ha qualcosa di Aldair. O Juan. Un brasiliano senza samba ma con molto sale in zucca. Di Burdisso, invece, si potrebbe dire che ha qualcosa del grande Nestor Sensini: la personalità, la professionalità, la prospettiva. È un bel complimento. Di Sensini Pizarro disse: «Se sono diventato questo, lo devo soprattutto a lui, alla sua intelligenza». Burdisso, come Dias, è un uomo forte dello spogliatoio, magari meno sorridente e più ruvido a volte. Lui urla «vamos!», nessuno fiata, tutti lo seguono. Pure Nicolas ha i suoi momenti di tenerezza, da fratellone col fratellino, Guillermo, che sabato è andato ad abbracciare dopo aver segnato al Lecce.

    Difensori e goleador

    Pure i gol li uniscono, nell’ultimo weekend hanno segnato a poche ore di distanza. Gol vitali. Burdisso ha consentito alla Roma di tornare alla vittoria e fare il primo passettino verso la fine del tunnel (ipse dixit). Dias ha portato
    la Lazio in Paradiso, che altro dire? Entrambi lavorano per la squadra, sono una ricchezza, migliorano chi gli sta intorno. Forti, coraggiosi e sempre pronti a immolarsi e ad aiutare chi è in difficoltà. Prendete Dias. Ne sanno qualcosa i compagni di reparto, il cui rendimento è notevolmente aumentato da quando è arrivato alla Lazio. Basti pensare a Biava (che contro la Roma non ci sarà perché squalificato): al fianco del brasiliano il difensore lombardo sta vivendo una seconda giovinezza. Ma ne sanno qualcosa anche i colleghi che giocano qualche metro più avanti. Perché nelle giornate in cui gli attaccanti faticano ad inquadrare la porta avversaria ci può sempre pensare lui a togliere le castagne dal fuoco. Era già accaduto in tre occasioni nella scorsa stagione, è successo di nuovo domenica a Palermo, dove il brasiliano ha realizzato un gol pregevole, di quelli che tanti attaccanti se li sognano. «Il più bello della mia carriera», non ha esitato a definirlo. E non è un caso che la Roma sia tornata compatta, quadrata, raccolta, capace di non subire gol per due gare consecutive (non accadeva da 287 giorni), non appena Burdisso è tornato… Burdisso.

    Facce da derby

    Lazio-Roma, Brasile-Argentina, Dias-Burdisso. Anche se, tra loro, la sfida sarà a distanza. I corpo a corpo saranno con gli attaccanti. Nella stracittadina dello scorso aprile, la sua prima e finora unica, Dias giocò una partita straordinaria, annullando Toni. Vucinic era compito di altri, ma Vucinic era incontrollabile. Domenica è molto probabile che Reja gli affidi Borriello. Ad aprile, Burdisso invece sbagliò un movimento e mandò in gol Rocchi. Una frittata. Sarà il caso che ripassi un po’. Ma prima, sarà il caso che fermi Frei e Streller. Non come all’Olimpico, però.


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