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  • Guardiola, da quale pulpito...

    Guardiola, da quale pulpito...

    • Fernando Pernambuco
    L’indimenticabile Ovrebo anni fa e l’indimenticabile Eriksson oggi. In comune due diverse squadre italiane e, guarda caso, lo stesso stadio (Allianz Arena) e la stessa squadra: il Bayern. Come andò, lo videro allora i tifosi della Fiorentina e non solo; come è andata ieri l’hanno visto i tifosi della Juve e non solo. Diciamo, per usare un eufemismo, che gli arbitri scandinavi non danno il meglio quando arbitrano squadre italiane. A pensarci bene nemmeno gli inglesi, perché l’arbitraggio di Mr. Atkinson, allo Stadium 15 giorni fa, è stato all’altezza “abissale” di quello di Herr (ci piace chiamarlo alla tedesca, solo perché ogni tanto lo fanno anche in Svezia) Eriksson.

    Tralasciamo il goal regolare annullato a Morata, tralasciamo la mancata espulsione di Kimmick al 39’, tralasciamo il fallo su Pogba che ha originato il quarto goal tedesco, tralasciamo, all’andata, il fallo macroscopico di Lewandowsky su Bonucci che ha fruttato un goal irregolare al Bayern, tralasciamo le ammonizioni distribuite a caso, così come i falli laterali, in entrambe le partite… tralasciamo e non lamentiamoci degli arbitraggi. Però qualche considerazione, a margine, sul dopo partita permettetecela.

    D’accordo, quando si critica un arbitraggio (nel nostro caso però si tratta di due arbitraggi singolarmente speculari a totale danno della Juve) si sbaglia, sostanzialmente perché non è provato che le decisioni influiscano poi sul proseguimento della partita. Tipico il ragionamento: “Non ti hanno dato il rigore, ma chi lo dice che poi lo realizzavate?” oppure “Il goal regolare, ma annullato, di Morata era il secondo e chi ti dice che poi la Juve avrebbe fatto il terzo?”. Marotta, invece, ha criticato sia Mr. Atkinson, sia Herr Eriksson, cedendo all’ evidenza, senza ricordarsi (si era a caldo) che comunque la Juve nel mezzo suicidio ci ha messo del suo. Certo, è stato un suicidio iperassistito. Comunque siamo sempre inclini a comprendere una critica civile e pacata, che per altro chiedeva più rispetto per il calcio italiano in generale  a fronte d’una cocente e, per molti versi immeritata, delusione.

    Capiamo meno il ditino alzato di Guardiola. L’allenatore spagnolo per tutta la partita si è agitato come un ossesso, ha protestato platealmente contro le poche decisioni avverse, poi  da trionfatore, invece di dimostrare la magnanimità di chi è stato baciato - diciamo - dal fato è salito in cattedra. In sostanza ha accusato la Juve di antisportività, ribadendo invece che quando il Bayern perde fa i complimenti agli avversari. In fondo - ha aggiunto - “forse il goal di Morata non era in fuorigioco”. Forse? Il calcio è bello per questo, per il fatto di essere un gioco altamente pirandelliano: ognuno ci vede quel che gli pare. Guardiola “forse” ha visto la sua partita. Una partita molto, molto personale, ma questa non è una buona ragione per ergersi a professori e proferire lezioni magistrali. A memoria, ricordiamo che Guardiola fece i complimenti al Real Madrid e al Barcellona dopo aver perso  in modo netto e inequivocabile. Chi glielo fa dire oggi che la “Juve deve pensare invece ai propri errori”?

    Allegri, con bel altro tratto di stile, si è  invece comportato opposto del pluridecorato collega iberico. Non si è minimamente appellato alla sfortuna, non ha voluto nemmeno sfiorare l’argomento arbitri e, con echi tacitiani, ha detto : “Siamo stati grandi, ma non abbastanza.” Questa sì che è una lezione magistrale!

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