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  • I maestri Sacchi e Lippi, la gavetta e la conquista dell'Europa ad Est. Bordin a CM: 'Sono pronto per la prossima sfida'

    I maestri Sacchi e Lippi, la gavetta e la conquista dell'Europa ad Est. Bordin a CM: 'Sono pronto per la prossima sfida'

    • Federico Albrizio
    Dai campi di Sanremo alle panchine in Azerbaigian, passando per Parma, Bergamo, Napoli e la Moldavia: "Ora sono pronto per allenare in Italia". Roberto Bordin è un giramondo del pallone, non solo nel nostro paese dove ha vestito tante maglie tra gli anni '80 e i primi 2000 (Sanremese, Taranto, Parma, Cesena, Atalanta, Napoli, Piacenza, Triestina, Spezia, Vicenza e ancora Spezia, dove ha chiuso la carriera), ma anche nell'Est Europa, dove lo ha portato la sua lunga gavetta in panchina. E ora aspetta la giusta chiamata per tornare a fare il tecnico in Italia, quando ovviamente sarà passata l'emergenza coronavirus: "E'una situazione difficile che nessuno si aspettava - racconta da Verona Bordin in una lunga intervista a Calciomercato.com -. Bisogna fare sacrifici, anche se non li chiamerei così perché quelli li fanno quelli che stanno lavorando per noi. L'economia sta pagando un prezzo altissimo, anche se qualche segnale di speranza nell'ultimo decreto c'è. E poi penso anche al calcio, si pensava con le porte chiuse di risolvere il problema, ma purtroppo l’esperimento non è riuscito come tutti quanti speravano...".

    Proprio il pallone in Italia sta provando a ripartire dopo lo stop.
    "L'ultimatum dalla UEFA per finire i campionati è chiaro. Mi auguro che riprenda, non sarà semplice perché non si può sconfiggere il virus ora. Ci saranno nuovi contagi e problemi, dovremo essere pronti, ma con le dovute precauzioni si può ripartire".

    Visti gli ultimi giorni, il piano è di far ripartire gli allenamenti di squadra il 18 maggio per poi giocare a giugno e luglio.
    "Come tempistiche si può fare, sarà difficile la preparazione fisica: devi azzeccarla prima di iniziare la prima partita, perché poi ci sarà pochissimo tempo per allenarsi tra una e l'altra. Dal punto di vista tecnico-tattico, non credo che giocatori e staff si siano dimenticati come si allenavano. Sarà importante la gestione della rosa, chi avrà una rosa più ampia sarà chiaramente facilitato. Fondamentale sarà accorciare i tempi facendo lavoro fisico con il pallone".

    E l'aspetto psicologico?
    "Parlo per me, allenatore che vuole tornare in gioco: non vedo l'ora. Non penso che i calciatori facciano fatica a riprendere, magari può diventare un problema per giocatori di fascia medio-piccola che non sono abituati a giocare ogni 3-4 giorni. Sta all'allenatore gestire il gruppo dal punto di vista psicologico. Ribadisco, sarà importante la rosa e la gestione da parte del tecnico".

    Questo il piano per la Serie A ma le categorie minori, specie C e Dilettanti, sono a forte rischio.
    "Come per le piccole imprese, è giusto l'allarmismo. Se non si riparte per le piccole società è enorme il rischio di finire 'a bagno'. Nei Dilettanti rischia di saltare tutto quanto. E' un problema legato all'economia nazionale, non solo al calcio. Anche chi gioca in Europa rischia".

    Una soluzione potrebbe essere quella di giocare sull'anno solare?
    "In Moldavia lo fanno, da marzo-aprile a novembre-dicembre. Se tutto era normale, ti trovavi nelle condizioni migliori in Europa. Paradossalmente, potrebbe essere un vantaggio per le nostre squadre in Europa".

    E in Europa sta facendo bene una sua ex squadra, l'Atalanta.
    "Sono contentissimo, stanno facendo veramente bene con Gasperini alla guida. Se me l'aspettavo? Sarebbe facile dirlo. Erano già avanti quando giocavo io negli anni '90: erano incredibili per come curavano il settore giovanile. Tanti ragazzi sono cresciuti e la maggior parte delle annate esordivano nei massimi campionati. E' la mentalità giusta che li ha portati al top. L'Atalanta la vedo bene in Champions se riparte, anche se la sospensione è pesante per tutti: bisogna valutare bene dove impiegare le energie, ma sono sicuro che staranno lavorando per poter affrontare al meglio le due competizioni. Loro fanno un gioco molto dispendioso perché è una costante pressione sull'avversario, tutti i giocatori sono sempre impegnati nell'azione. Sicuramente sarà un impegno importante".

    Bergamo tristemente una delle città più colpite dal Covid-19.
    "Ho mandato un messaggio a Oscar Magoni sapendo della situazione, a De Zerbi anche. E' difficile, purtroppo la gente continua a morire, senti ambulanze avanti e indietro. E' una situazione drammatica".

    Tornando a note più liete, si è rialzato anche il Napoli con Gattuso: pensa che Rino sia il tecnico giusto per gli azzurri?
    "Gattuso ha fatto un grandissimo lavoro anche a Milano e lo sta facendo ancora a Napoli. Rino è genuino, al di là delle capacità da allenatore che sono tante. Mette a disposizione quello che è stato lui da giocatore: oltre alla bravura tecnica, questo è il suo più. Sentivo Fabio Cannavaro, in una recente diretta sui social, dire di Gattuso che sembrava napoletano: si è calato nella realtà, ed è una cosa fondamentale".

    Portare in panchina qualcosa del sé calciatore, cosa si porta dietro Bordin?
    "Chi ha fatto sto lavoro è una categoria privilegiata, è una cosa bellissima. E sono fortunato ad aver vissuto questo mondo, da calciatore prima e ora da allenatore. Da giocatore ti alleni e fai quello che ti piace, ho sempre dato il massimo e cerco di trasmettere questo ai miei ragazzi: sarebbe assurdo non dare il massimo in un lavoro che è anche la nostra passione, cerco di trasmettere questo pensiero".

    Il passaggio dal campo alla panchina è stato immediato, dopo il ritiro allo Spezia Bordin è entrato subito nello staff di Mandorlini. Come si gestisce il passaggio da calciatore ad allenatore?
    "E' sempre difficile, a volte non ti rendi conto del pensiero del giocatore che è diverso. Cerchi sempre di aiutare. Quando arrivi a una certa età e vai verso il ritiro pensi già di essere allenatore, sono l'età e l'esperienza che ti portano a pensare così, anche se stai ancora giocando".

    Qualcuno ha tentato il passaggio immediato dal campo a panchine prestigiose, altri come anche Sarri hanno vissuto una lunga gavetta.
    "Dipende: ci sono occasioni devi sfruttare, magari alleni la Primavera di una grande squadra, salta il tecnico della prima squadra e cosa fai? Fai fatica a rinunciare, anche sapendo che non è la stessa cosa".

    Qualche allenatore in erba ha rischiato però così di 'bruciarsi' come si dice in gergo...
    Il rischio di bruciarsi c'è sempre, ma è giusto dare continuità a quello che vuole la società cercando di fare bene. L'unica cosa, è che chi subentra deve farsi aiutare: chi è inesperto deve farsi aiutare. Io da vice allenatore per dieci anni ho fatto molta esperienza, poi da primo allenatore a Trieste (Triestina in Serie D, ndr) e in Moldavia ho fatto fatica: non sei più tu che ascolti, ma dai ordini e devi trasmettere il tuo pensiero a collaboratori e giocatori. Bello, ma c'è il rischio di fare errori".

    Cambiano le responsabilità, ma anche le soddisfazioni: per Carlo Ancelotti è più bello vincere da allenatore che da giocatore.
    "Sono d'accordo con lui: da calciatore vincere è bello, ma da allenatore ti dà più soddisfazione perché è una condivisione molto più ampia e molto più grande, con giocatori, staff, società, tifosi...".

    Una lunga gavetta iniziata da vice allenatore, dieci lunghi anni accanto ad Andrea Mandorlini. Possiamo definirlo il principale mentore?
    "Con Andrea ho lavorato anche prima di diventarne il vice. Ci siamo conosciuti a Trieste in C2, ho giocato per lui anche allo Spezia e poi ci siamo ritrovati. Per dieci anni mi ha insegnato tanto, anche lui come me era uno che pretendeva sempre il massimo da parte dei giocatori. Il rapporto era importante fin da quando giocavo per lui, già pensavo da allenatore anche se ero ancora in campo. Ho avuto modo di imparare tante cose grazie a lui, specialmente nella gestione della partita. La differenza che l'ha portato a essere un grande allenatore è stata la capacità di leggere le partite e cambiare in corsa".

    Come si suol dire, c'è qualche segreto che gli ha 'rubato'? Anche se sembra brutto dirlo.
    "Chi non ruba un talento è stupido. Si possono sempre imparare tante cose dai propri maestri. Ho giocato per lui in più moduli, è molto bravo a cambiare schema durante la partita in base a condizioni e risultati. Il 4-3-3 lo abbiamo fatto per tanti anni insieme, ora lo porto avanti perché mi piace molto ed è molto offensivo. Poi può variare, mi sono portato dietro questa lettura della partita e negli anni ha portato molti vantaggi: all'estero quando giochi 4-3-3 e poi passi 3-5-2 restano spiazzati, magari pensano che stai solo difendendo. Invece...".

    Mandorlini maestro, ma in carriera Bordin ha potuto lavorare con tanti grandi della panchina in Italia, a partire da Arrigo Sacchi.
    "L'ho avuto a Parma in C dove giocavamo a zona. Faceva molta tattica, ad ogni allenamento c'era un obiettivo ben preciso, non potevi sgarrare, sia di tecnica individuale che di tattica di squadra. Ogni partitella in allenamento c'era una finalità ed è stato un grande insegnamento".

    E poi Vujadin Boskov, avuto ai tempi del Napoli.
    "Era un secondo papà (racconta Bordin con gli occhi luccicanti, ndr), era sempre vicino e aveva sempre una parola buona anche nei momenti difficili. Ed è stato un grande allenatore".

    Come Marcello Lippi, che lo ha avuto all'Atalanta e lo ha voluto anche a Napoli.
    "Curava tutti i particolari, aveva un rapporto forte con i giocatori e credo che tutto quello che ha vinto è perché ha saputo aver una squadra che andava sempre dietro di lui".

    E in tema di ricordi, a Bergamo restano legami forti.
    "Vorrei ricordare Bruno Giorgi, che oggi non c'è più, perché era un signore del calcio: per come ti trattava, il rapporto che c'era, per come guidava le partite. Lo stesso Emiliano Mondonico: il Mondo era un po' più sanguigno, ma era l'ideale per Bergamo. Ha fatto cose incredibili, per la città e per la squadra".

    Nel segno di questi maestri e dopo dieci anni da vice, arriva l'occasione di dare il via all'avventura da primo allenatore.
    "La prima esperienza a Trieste in Serie D, mi hanno chiamato Sogliano e Milanese, che è ancora ds, cercavano un allenatore per gestire e ho fatto questi mesi finali per portare la squadra alla salvezza. E ce l'abbiamo fatta. Poi, ho avuto la fortuna che il mio vecchio ds del Cluj mi ha chiamato in Moldavia, dove lo Sheriff Tiraspol cercava un allenatore. Sono andato lì, ho guardato un po' di allenamenti e ho accettato la sfida".

    Un'esperienza, quella allo Sheriff, che le è rimasta nel cuore.
    "C'è un complesso sportivo esagerato, uno dei migliori in Europa. Tuttora il proprietario dello Sheriff ha continuato a migliorare questo complesso dove ci sono due stadi all'interno, 20 campi da calcio e ne stanno facendo altri. Uno dei campi è un sintetico con 5mila posti coperti, da utilizzare con condizioni climatiche sfavorevoli. Poi ci sono una piscina olimpionica e una clinica privata. Robe che ci sogniamo. Ho avuto la fortuna lì di vincere due campionati e una coppa di Moldavia. Poi ci siamo qualificati ai gironi di Europa League battendo ai playoff il Legia Varsavia. Purtroppo, non ci sono bastati 9 punti per superare il girone, ma nonostante questo è stata una soddisfazione poter fare così bene in Europa. Nel complesso è stata una grande e bella esperienza, ringrazierò sempre il presidente Victor Gushan e il direttore generale Vazha Tarkhnishvili".

    Dopo la Moldavia, l'Azerbaigian e il Neftchi Baku: secondo posto al primo anno e avventura giunta al termine lo scorso gennaio.
    "Un'altra occasione importante, era stata fatta una squadra forte per competere con il Qarabag che la fa da padrone da sei anni, hanno budget importante rispetto alle altre squadre azere. Abbiamo combattuto, a gennaio eravamo primi con cinque punti di vantaggio e c'era grande entusiasmo. Purtroppo, nella fase finale della stagione abbiamo pagato qualche errore in partita e siamo arrivati secondi. Sarebbe stata una cosa bellissima poter vincere perché il Neftchi è la squadra più titolata in Azerbaigian, abbiamo provato e non ci siamo riusciti".

    Di esperienza ne ha maturata all'estero, conquistando anche gettoni in Europa League. Eppure il calcio italiano guarda sempre con scetticismo ai tecnici nell'Est Europa. Pensa che ci sia del pregiudizio?
    "Mi sono reso conto in questi anni che, andando ad allenare ad Est ti si apre tutto un altro mercato in quelle zone. Anche se in Italia sanno che alleni nell'Est probabilmente non credono che tu possa avere un'esperienza tale per allenare in Italia. Le partite però si possono seguire su internet, uno può aggiornarsi e io sarei stupido a non farlo con i campionati italiani. Li seguo tutti. Non so come mai ci sia poco interesse, o magari si pensa che un allenatore che fa tanti anni all'estero non sia più abituato alle dinamiche italiane. Nel frattempo magari arrivano offerte sempre dall'estero da società che invece hanno seguito, anche dalla Russia ci sono state chiamate quando abbiamo battuto l'Arsenal Tula. Nel frattempo valuti e aspetti altre offerte che magari non arrivano mai dall'Italia. Sarebbe bello tornare a casa, ma molto volentieri accetti situazioni come Neftchi o Sheriff, che mi hanno dato tanto".

    La voglia di tornare a casa, però, è sempre viva.
    "L'ho sempre detto e lo dico sempre anche ai miei agenti Marco Tieghi e Edoardo Revello (Sportsgeneration, ndr), voglio allenare in Italia. Appena smesso come vice mi è capitata l'occasione alla Triestina, poi ho cercato situazioni e anche quando ero all'estero ero contento, ma il pensiero di tutti gli allenatori che migrano all'estero è quello di tornare a casa, fare qualcosa di buono a casa proprio".

    Tra gli 'emigrati' che vorrebbero tornare in Italia anche Fabio Cannavaro, che sogna in futuro di guidare il Napoli. Da ex compagno proprio in azzurro di Cannavaro, lo vedrebbe bene al San Paolo?
    "Bisogna stare attenti, i rischi sono alti: nessuno è profeta in patria. Fabio ormai ha le competenze giuste per allenare a Napoli, ha fatto tanta gavetta e bene all'estero. Ha avuto un allenatore come Lippi che gli ha insegnato tanto ed è pronto per tornare in Italia. Napoli, poi, è casa: avrebbe vantaggi all'inizio, ma quando alleni a casa tua poi possono rinfacciarti di tutto".

    E invece vedere lei a Napoli?
    "Sì, in vacanza (ride, ndr). Ci tornerei a vedere il Napoli al San Paolo. Certamente non mi tirerei indietro se mai arrivasse l'occasione, ma so bene l'esperienza che ci vuole per quella panchina: ci vuole tanta e tanta gavetta. Penso a tanti altri allenatori giovani come me, tutti ambiscono a squadre importanti ma ci vuole esperienza. E poi adesso c'è Gattuso, quindi forza Rino!".

    Ora Lei si trova a Verona, dove il 'suo' Hellas sta volando con Ivan Juric in panchina.
    "Ho sentito dire cose bellissime di lui a Genova, Mantova, Crotone. I giocatori gli volevano veramente bene. Qualche contatto qua a Verona ce l'ho, ho visto anche qualche allenamento seppur solo di scarico. Mi hanno detto che è un martello vivente, non lascia spazio a niente e nessuno, giustamente. Sapevo che era molto bravo, sta facendo bene in una piazza non facile ma che dà stimoli enormi: dà una spinta ogni volta che entri in campo, partita e allenamento".

    Un'ultima domanda: come si tiene preparato un tecnico in questo periodo?
    "Ho un collaboratore di Padova, Andrea Vezzù, l'ho sentito per capire come impostare eventualmente una chiamata in ritiro, tenendo conto del suo lavoro atletico. Mi aggiorno costantemente, sul sito della federazione allenatori ci sono eventi giornalieri, il tutto guidato da Renzo Ulivieri. Ti aggiorni così, ho fatto il corso di aggiornamento di cinque lezioni del settore tecnico di Coverciano. E poi si guardano tante partite, si osservano i giocatori. Cerchi di aggiornarti in questa maniera. Come detto prima, rubiamo qualche idea da aggiungere alle mie".

    @Albri_Fede90

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