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  • Il Baggio che nessuno conosceva, in un film di dolore e di rabbia

    Il Baggio che nessuno conosceva, in un film di dolore e di rabbia

    • Marco Bernardini
      Marco Bernardini
    E’ uscito oggi, sulla piattaforma Netflix, “Il Divin Codino” un film dove si racconta di Roberto Baggio e delle imprese che lo hanno fatto diventare leggenda. Niente orgia di calcio, però. Quel tanto che basta per legittimare la storia di un campione oltre la sua figura di fuoriclasse e di idolo amato dalle folle. In primo piano sempre l’uomo e, a seguire, la parte più nascosta e profonda di se stesso. Quella che oltre a lui nessuno fino ad oggi poteva conoscere.

    Ecco perché il lavoro cinematografico firmato dalla regista Letizia Lamartire sfugge ad ogni canone di genere sportivo e trova la sua esatta collocazione in quello della drammaturgia più classica dove il racconto intimo e l’indagine dell’anima prevalgono sulla coreografia chiassosa e spettacolare che ci si potrebbe attendere dalla costruzione di una sceneggiatura scritta per mostrare la vita di un personaggio come Baggio.

    Il pallone fa da perno alla vicenda, ma ciò che gli ruota intorno sono uomini, donne, bambini, sentimenti, dolore e rabbia. Umanità ed emozioni che fanno da coro greco al protagonista di un’avventura tutta sua e soltanto sua perché di Baggio ne esiste uno soltanto e lui è il primo ad esserne consapevole nel carosello che lo porta in alto per un momento e poi lo trascina in rovinose cadute dai cui effetti per riprendersi occorre lo spirito di un leone.

    Ecco, il Baggio che nessuno conosceva prima è il gladiatore di se stesso. Il ragazzo che, appena arrivato a Firenze da Vicenza con un ginocchio in pezzi, medita di gettarsi dalla finestra la notte di capodanno perché pensa di essere finito ancora prima di cominciare. Del resto proprio lui aveva pregato sua madre: “Se non posso più giocare ‘masame”. L’idolo che calcia alla luna il pallone del rigore contro il Brasile a Pasadena e che, di notte, verrà tormentato per tuttala vita da quel  “fantasma”. Il campione già stanco che viene tradito da Trapattoni il quale gli aveva promesso di portarlo ai Mondiali nippo-coreani. Botte da orbi. Ma il guerriero non molla sostenuto dalla sua sconfinata fede in Buddha secondo i cui insegnamenti ciascuno determina le fortune e le sfortune di se stesso.

    Un dramma vero e proprio quello proposto dal “Divin Codino” che, in quanto a film, è l’esatto contrario di quello “Mi chiamo Francesco Totti”. Commovente e popolare il lavoro sul capitano della Roma. Forte e intenso quello realizzato per raccontare Baggio. Entrambi riusciti, ma per due diversi tipi di pubblico. Da segnalare e ricordare l’interpretazione magistrale di Andrea Arcangeli identico nella finzione a Baggio, quella di Andrea Pennacchi nei panni di papà Florindo, di Valentina Bellè, la moglie Andreina, di Martufello, alias Mazzone, e della toccante colonna sonora di Diodato.

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