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  • Retroscena su Deschamps: la telefonata con Capello, che gli 'rubò' la Juventus

    Retroscena su Deschamps: la telefonata con Capello, che gli 'rubò' la Juventus

    • Marco Bernardini
    Per potersi fare un’idea sufficientemente seria rispetto ad una persona sarebbe sempre buona cosa indagare sulle sue radici. Nel caso di Didier Deschamps, il cittì della Francia che ha condotto la nazionale transalpina a potersi giocare la finale dell’Europeo con ottime probabilità di vincerlo e che a suo tempo riportò la Juventus all’onor del mondo dopo l’inferno della Serie B, questo tipo di operazione conoscitiva è quanto mai indispensabile. L’ex “motore” di una grande Juve è nato e cresciuto a Bayonne, una città dell’Aquitania di quarantamila abitanti protetta dall’Oceano Atlantico e contemporaneamente dai Pirenei. Un posto speciale che si trova ufficialmente in Francia, ma che non è esattamente “francese” e che si ispira all’attigua Spagna del popolo basco pur non essendo empaticamente “spagnolo”. Un “non luogo”, insomma, differente da tutti gli altri che, in virtù del comportamento e del pensiero della sua gente, potrebbe tranquillamente venir definito come “la fabbrica della semplicità”. E tutti coloro i quali hanno avuto e avranno la fortuna di nascere a Bayonne porteranno per sempre dentro se stessi il marchio indelebile di una qualità  davvero sempre più rara. Perché la semplicità, di fatto, è un grande contenitore con all’interno altri elementi preziosi come l’onestà intellettuale, i modi garbati, il rispetto per la natura, il senso della partecipazione, l’equilibrio della ragione che ti permette di dare a ciascuna cosa il valore che possiede, il gusto e il piacere per le cose buone, la dignità personale da salvaguardare sempre. E scusate se tutto ciò è poco. Ebbene, Didier Deschamps è in sintesi il manifesto vivente della “baionesità” che non è un modo di dire ma un modo di vivere la vita di tutti i giorni.

    Ho avuto modo di soggiornare una settimana intera in questa cittadina per la quale le guide turistiche suggeriscono una sosta soltanto nei giorni dell’anno che portano dal 28 luglio al primo di agosto quando le notti si accendono con i colori e i suoni della Grande Festa Basca corredata da corride incruente, fiumi di sangrilla e vagonate di un prosciutto unico al mondo per il sapore che durante la stagionatura gli viene conferito dal mix di brezza atlantica e vento di montagna. La popolazione, a quel tempo, si duplica almeno e sfila per le strade rigorosamente vestita completamente di bianco con al collo un fazzoletto rosso. Per il resto dell’anno, Bayonne procede nella sua lenta operosità caratterizzata dal passo della brava gente che lavora perlopiù nelle fabbriche di salumi e di metalli dove, nel turbolento XVII secolo, i “baionesi” rimasti a corto di povere da sparo inventarono le “baionette” da piazzare sulla cima della canna ai fucili. 

    Io arrivai molto prima della “Fiesta”. Erano i primi di giugno del 2004 e la Juventus era ancora senza un allenatore. Marcello Lippi aveva appena chiuso il suo secondo ciclo vincente in bianconero e il presidente Umberto Agnelli, insieme con la “Triade”, non aveva ancora stabilito con chi sostituirlo. Si facevano i nomi più diversi, ogni giorno. Da quello di Prandelli a quello di Zaccheroni passando per mister stranieri. Alla fine, dalle solite gole profonde sempre bene informate, arrivò quella che sembrava dover essere la “soffiata” giusta. Il nuovo tecnico della Juventus sarebbe stato Didier Deschamps, una garanzia di cuore bianconero. Dalla società nessuna smentita. Dalla voce dell’interessato un commento carico di soddisfazione e di orgoglio. Mancava soltanto la firma. Pronti via, dunque.

    Parto di mattina prestissimo perché arrivare fin lassù, da Torino, non è semplicissimo. Almeno un paio di cambi di aereo e poi avanti in macchina. Missione: “Alla scoperta del Deschamps segreto”. Sarebbe stato quello il “logo” conduttore delle cinque puntate previste che “Tuttosport” avrebbe pubblicato per raccontare vita e miracoli del nuovo allenatore bianconero analizzato dalle sue origini a quel momento. Lui, Didier, naturalmente non era nella sua casa natale. Aspettava buone nuove, mi pare, in un villaggio vacanza della Sardegna. In compenso c’erano tutti coloro che mi interessavano per la raccolta e la stesura del “reportage” previsto. La madre e parenti assortiti. Il parroco e il farmacista. La maestra delle elementari e il professore delle superiori. Il suo primo allenatore della piccola squadra di calcio molto snobbata perché lo sport più amato è il rugby. I suoi amici di infanzia e anche un paio di ex fidanzatine che il ragazzino Didier portava in camporella nei boschi che fanno da corona alla cittadina. Tutti a parlare con orgoglio del loro “figlio illustre” che, con grande merito, sarebbe diventato l’allenatore di una fra le squadre più celebri e forti d’Europa dopo esserne stato giocatore. Era il vanto della sua Bayonne, Didier Deschamps. Non c’era ombra di ipocrisia e né di invidia in quei discorsi. L’inchiesta filava via pulita e semplice come quel mondo speciale. Ero contento del mio lavoro.

    Il quarto giorno verso sera, ho già inviato in redazione a Torino l’articolo che dovrebbe uscire il giorno dopo, ricevo una telefonata “strana” dal collega Massimo Franchi che al giornale si occupa di calcio estero. Mi fa: “Tu che sei in buoni rapporti con lui, puoi dare un colpo di telefono a Fabio Capello? Sai, da un  paio di ore girano curiose voci su di lui e la Juventus…”. Oddio, mi pare bizzarro. Capello? Ricordo bene quando mi diceva “Io mai e poi mai andrei a lavorare per quella società di salesiani falsi e ipocriti”. Lo chiamo. Ciao, come stai? Soliti convenevoli. Poi taglio corto. Fabio, cosa c’è di vero tra te e la Juve? Sai, io sono a Bayonne per scrivere la vita di Deschamps… E lui, con voce alterata: ”Scrivi… scrivi… ma lasciami stare”. E interrompe la comunicazione. Rimango lì, come uno scemo, con il telefono muto in mano. Provo la sgradevole sensazione di inutilità e di impotenza. Alle ventuno e trenta mi chiama il direttore, questa volta. “E’ ufficiale. Capello è il nuovo allenatore della Juventus: Rientra subito”. Porco qua e porco là. Mente gli telefonavo Capello era in sede, a Torino, per la firma. La cena mi rimane sullo stomaco. La quarta puntata del reportage non è mai uscita. Il giorno successivo sono “scappato” da Bayonne di mattina presto. Avrei dovuto chiedere scusa per il disturbo. Non ho trovato il coraggio di farlo. In compenso ho allungato il viaggio di ritorno e mi sono fermato a Lourdes che non è distante. Il massimo per un ateo. Pioveva e mi sono anche beccato il raffreddore. Con l’articolo mai pubblicato, ancora oggi, conservo una bottiglia piena di acqua benedetta. 

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