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  • In Italia non si 'switcha': ecco perché gli Italiani non cambiano lavoro
In Italia non si 'switcha': ecco perché gli Italiani non cambiano lavoro

In Italia non si 'switcha': ecco perché gli Italiani non cambiano lavoro

  • Benedetta De Martinis
L’Italia non è un paese per “switcher”. I nostri connazionali tendono a non cambiare lavoro: no alla flessibilità e alla ascesa sociale, la generazione Z però dice no al posto fisso e all’immobilità lavorativa. 

Chi non ha mai sentito i propri genitori parlare dell’importanza del posto fisso mente. Sì, perché gli Italiani, secondo gli ultimi dati OCSE (Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico), rimangono più a lungo con lo stesso datore di lavoro: in media circa 12 anni. In una panoramica europea, la media italiana è molto alta. In Germania il periodo si accorcia a 10 anni, nel Regno Unito a 8 e in Danimarca i lavoratori cambiano azienda ogni 7 anni. Il paese dove però switchano di più a è la Corea del sud dove i lavoratori restano nello stesso posto per circa 5 anni. 

Viene da domandarsi se questa scarsa mobilità sociale sia dovuta a fattori esogeni come l’appartenenza ad una determinata generazione, la nazionalità o più semplicemente se questa dipenda da fattori culturali. I dati ci dicono che la mancanza di “switch” sul posto di lavoro sia dovuta all’insieme di questi tre fattori, infatti se allarghiamo il nostro raggio visivo e ci spostiamo negli USA vedremo come la mobilità sociale è un caposaldo davvero importante. Uno studio sostiene che gli Italiani sono abitudinari e tendono a mettere le radici. Questo dato però cambia se facciamo una distinzione tra generazioni, in particolare se facciamo riferimento alla generazione baby boomers e alla generazione Z. Secondo il professore d’Ingegneria gestionale dell’Università di Tor Vergata, Domenico Campisi, la mobilità professionale è un valore importante “garantisce lo scambio e l’innovazione” grazie al cambio generazionale. 

Il problema secondo il docente è anche di carattere economico. Il settore delle grandi imprese pubbliche non favorisce l’equilibrio nel mercato del lavoro, c’è un eccesso di offerta e poca domanda, trovare lavoro è sempre più difficile. Ovviamente con la pandemia le carte in tavola sono state rimischiate e la modalità in smartworking ha portato una ventata di cambiamento. La pubblica amministrazione e il settore pubblico hanno bisogno di innovazione e freschezza e questo potrebbe portare ad un cambio generazionale fondamentale per far ripartire al meglio il mondo del lavoro. 

In questo momento storico, dunque, è la Generazione Z che ha un ruolo chiave: cambia la forma mentis, non c’è più l’esigenza del posto fisso. Non c’è più l’idea per cui si nasce per un certo mestiere ma si fa largo l’idea per cui ognuno può puntare ad una qualsiasi prospettiva lavorativa grazie ai propri valori. Non è più importante l’aspetto remunerativo ma è fondamentale la realizzazione personale. Al podio quindi il primo posto va ai valori ed il secondo va alle certezze.

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