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  • Inter: salvate il soldato Ranocchia!

    Inter: salvate il soldato Ranocchia!

    • Il Nero e l'Azzurro
    Tra i calciatori passati nell’Internazionale ho sempre avuto una malsana affezione nei confronti dei calciatori buoni. Importante non invertire sostantivo e aggettivo con aggettivo e sostantivo, non sto parlando di “buoni calciatori” ma di “calciatori buoni” a intendere “persone” buone, per bene e gentili.

    Non che non mi piacciano i cattivi, quelli che con un’entrata fanno capire all’avversario come si potrebbero indirizzare i 90’ nel caso le cose andassero storte. Adoravo ad esempio il “metodo Samuel” quello che prevedeva un’entrata spaventosa entro i primi due minuti di gioco sul diretto avversario in modo da intimorirlo per i restanti 88’ di gioco o alcuni atteggiamenti di Materazzi che lo rendevano odioso a qualunque tifoso avversario (e in alcuni casi anche ai tifosi nerazzurri) ma che spesso si sono rivelati utili, parlatene con Zidane se avete qualche dubbio.

    Ma forse proprio perché sono cresciuto tra le fila della squadra del mio paese con la definizione di “terzino timido” ho sempre sperato che in quei giocatori d’animo buono che faticavano a San Siro ci potesse essere un riscatto finale, loro e quindi del mondo inter. Non ho avuto la fortuna di vederlo giocare ma inutile dire che il giocatore “buono” per eccellenza è stato Giacinto Facchetti, non solo per la sua eleganza ma proprio per quel tono garbato che trapelava dalle sue parole e dai suoi atteggiamenti.

    Rispetto ai cosiddetti “mastini” alla Edgar Davids o alla Gennaro Gattuso a me le persone per bene hanno sempre dato la sensazione che il bene avrebbe vinto sul male perché i buoni nascondono qualche intima verità che i cattivi non hanno. L’ultimo dei buoni che cerco di difendere, nonostante sia molto complicato, è Andrea Ranocchia. L’ultima partita che ho visto con mio padre, un interista che appartiene alla categoria “quello non è un giocatore da Inter” al secondo tocco sbagliato, l’ho passata a cercare di difendere Ranocchia dai suoi continui attacchi. A un certo punto mi sono convinto che il povero Andrea potesse addirittura percepire tutta la negatività di mio padre partire dalla poltrona in pelle primi anni ottanta fino lì sul campo a centinaia di km di distanza.

    A un tratto mio padre ha addirittura detto “E’ proprio un ciula” che in novarese significa – sempliciotto un po’ stupido un po’ ingenuo – “uno così non può mica fare il difensore in serie A”. Ed eccola lì racchiusa in una frase, tutta la convinzione di una parte di tifoseria, di una parte di mondo calcistico, di una parte di questo paese secondo cui una persona buona e onesta non possa fare bene nel calcio e forse in nessun ambiente lavorativo. “E’ possibile secondo te che sia diventato un incapace in due anni?” ripetevo a mio padre come in un mantra, nella speranza che esista una legge sportiva che impedisce ad un atleta di fingere grandi exploit per poi tornare ad essere mediocre. “Oh, alla fine lo abbiamo pagato 19 milioni” ho detto a mio padre. Lui ovviamente da interista di vecchia data mi ha guardato come a dire “Merda, almeno non ricordarmelo!”.

    Ma sono sicuro che chiunque abbia assistito anche ad una sola delle partite giocate negli ultimi due anni da Andrea Ranocchia al Meazza non può non aver percepito l’enorme carico emotivo che tutti i presenti allo stadio riversano su questo ragazzo che non appena tocca la palla sente i pensieri di 40.000 persone.


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