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  • La cosa sicura è che Berlusconi sopravviverà anche a se stesso

    La cosa sicura è che Berlusconi sopravviverà anche a se stesso

    • Marco Bernardini
      Marco Bernardini
    Dicembre 1989. Il Milan, il giorno 17, giocherà a Tokyo contro il National di Medellin. In palio la Coppa Intercontinentale che, in tempo fi calcio non ancora globalizzato, rappresenta un trofeo tremendamente serio. E’ il Milan di Arrigo Sacchi. Soprattutto è il Milan del Cavaliere, di sua Emittenza, insomma di Silvio Berlusconi l’imprenditore venuto dal nulla che stava rivoltando come un vecchio pedalino lo scatolone degli usi e dei costumi nazionali e che, strada facendo, avrebbe marchiato in maniera indelebile l’Italia di fine Novecento seminando nuove ideologie e nuove morali.

    Piero Dardanello, direttore di Tuttosport, mi affida la missione non semplice di ottenere un’intervista esclusiva e non telefonica con il presidente rossonero e della Fininvest alla vigilia della partita. Piero fa da tramite e viene fissato l’incontro. In Villa San Martino, ad Arcore, alle ore nove e trenta del mattino. Trascorro la notte praticamente in bianco contando le ore ed evitando per pudore di fare altrettanto con le sigarette fumate. Parto da Torino con molto anticipo e all’ora stabilita suono il campanello che si trova sulla destra del grande cancello verde. Alla fine del viale si spalanca la porta in stile barocco e per fare gli onori di casa si presenta lui, Silvio Berlusconi, vestito in spezzato grigio chiaro e camicia button down verde mare aperta sul collo.

    “Lo gradisce un caffè?”. Deve aver notato che sono uno straccio così tenta di rifrancarmi e di mettermi un minimo a mio agio. “Venga, facciamo un giro prima di cominciare l’intervista”. Mi rendo conto che il sentito dire sulla villa dove abita il Cavaliere è una scheggia di verità. Nulla di sfacciatamente chiassoso, ma una teoria di autentici tesori appesi alle pareti dei corridoi e delle sale da Andy Warrol, a Fontana, a De Chirico. Credo di intravedere anche un Tiepolo, ma no n ne sono sicuro. La biblioteca, poi, è da orgasmo intellettuale. Apre una porta,. “Ecco, io al mattino, comincio da qui”. Il pavimento è una lastra che pare cristallo azzurro. Faccio cinque passi in avanti troppo in fretta e senza rendermi conto che non si tratta di cristallo ma di acqua. Fantozzianamente finisco a mollo nella piscina con Berlusconi che tenta invano di agguantarmi e che poi scoppia a ridere. Realizzerò l’intervista, nel suo studio, vestito con un accappatoio che mi ha portato un domestico filippino e con una tazza di caffè bollente in mano.

    Ho più volte ripensato a quella scena in questi ultime giorni e ore scanditi dal metronomo dell’ansia e dell’incertezza per la sorte che sta giocando a dadi con la vita di uno degli uomini più monumentali piazzati a cavallo di due secoli. Polmonite, leucemia e soprattutto gli anni spesi in maniera indubbiamente logorante. E’ una roccia e ce la farà anche questa volta, esterna il fratello Paolo. E’ un augurio collettivo ed condiviso da amici e da avversari. Intanto, sia in Fininvest che in Forza Italia, c’è grande fermento organizzativo per tentare di anticipare ciò che sarà fatalmente il dopo. Marina, la figlia prediletta e intellettualmente copiacarbone del padre, confermerà che come nella politica con la Meloni e la Schlein anche il pianeta dell’imprenditoria importante parlerà con la voce di donna.

    In ogni caso, subito o un poco più avanti nel tempo, una cosa è sicura. Silvio Berlusconi sopravviverà anche a se stesso perché ciò che è riuscito a realizzare, nel bene come nel male, è talmente radicato nell’humus mentale e strutturale del nostro Paese al punto da averne modificato indelebilmente il dna. Aveva certamente ragione Indro Montanelli quando scriveva, dichiarandosi nemico del Cavaliere, che l’Italia aveva imboccato la strada del non ritorno perché quando Berlusconi come ciascun essere umano sarebbe morto il Berlusconismo avrebbe continuato tranquillamente a vivere.

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