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  • Mancini: 'Io alla Juve? Nessun rimpianto, ho nuovi dubbi sul Var'

    Mancini: 'Io alla Juve? Nessun rimpianto, ho nuovi dubbi sul Var'

    • Renzo Parodi
    "Il Var? Ero nettamente contrario. Poi vedendolo applicato nelle fasi iniziali mi ero ricreduto. Adesso però dopo due anni mi sono tornati un po' di dubbi…". Roberto Mancini è stato ospite al palazzo Ducale di Genova per la rassegna 'Allenatori, i guru del calcio intervistati dagli intellettuali', ideata dal giornalista Marco Ansaldo, in collaborazione con chi scrive. Giovanna Melandri, ex ministro e attuale presidente del Maxxi di Roma, la sua interlocutrice. Sala gremita e attentissima alle parole del ct azzurro, che a Genova è di casa, 15 anni di Sampdoria come calciatore, lo scudetto e altri trofei. "Non me ne sarei mai andato, la vita però offre altre occasioni… La tecnologia nel calcio? Credo aiuti gli allenatori, fornisca tanti elementi di cui prima non disponevano, anche se poi alla fine contano le idee, il fiuto, le conoscenze personali di chi guida la squadra. Per gli arbitri è diverso, fanno un mestiere difficile, sbagliano come sbagliano tecnici e giocatori. E i continui cambi del regolamento, anche 4/5 regole ogni anno, non li aiutano…". 

    Genova è sempre nel suo cuore: "Giocavo nel Bologna e venimmo a Genova a incontrare il Genoa. Passammo sul ponte Morandi e ricordo di aver pensato: 'Non verrei mai a giocare in una città come questa'. E invece due mesi dopo ero un calciatore della Sampdoria e mi sono fermato qui per quindici anni". 
    Da calciatore Mancini non era affatto un tipo facile da gestire. Con i suoi primi allenatori, Ulivieri e Bersellini, furono spesso scintille. Per non parlare dei suoi rapporti con gli arbitri. Memorabile un plateale alterco in campo durante un Sampdoria-Inter con l'attuale presidente dell'Aia, Marcello Nicchi. Mancini venne espulso da Nicchi è rimediò una maxisqualifca. Ma quello era il Mancini giovane calciatore. Fumantino. Lingua lunga e mai ipocrita. Diceva sempre quello che gli passava per la mente. Anche troppo spesso, però… La lunga esperienza con Boskov e poi Eriksson lo ha maturato, anche come uomo. "Boskov ed Eriksson mi hanno dato tanto e non ho dimenticato la loro lezione". 

    Mancio ha vinto molto già da calciatore, ma se avesse svestito la maglia della Sampdoria per quella di un club più blasonato…? Magari la Juventus della quale era tifoso da ragazzino?  "Probabilmente avrei vinto di più, ma non ho rimpianti. Ho conosciuto e frequentato una grandissima persona, Paolo Mantovani. Il presidente era avanti cinquant'anni rispetto a tutti gli altri, era un uomo buono e la Sampdoria era la nostra famiglia. Vincere uno scudetto e tutto il resto a Genova è stato bellissimo anche perché abbiamo fatto felice una persona come Paolo Mantovani". L'affetto era ricambiato. Mantovani un giorno se ne uscì con un frase piccante: "Se Roberto non gioca non mi diverto". E il 'gemello' Vialli se la prese molto… "Ho fatto tanti errori nella mia vita, per fortuna ho trovato persone che mi hanno aiutato a non sbagliare più". 

    La Nazionale? "Abbiamo cercato di valorizzare i tanti giovani italiani bravi che offriva il campionato, finora ci siamo riusciti. I ragazzi stanno bene assieme, in campo e fuori del campo, tra loro c'è la chimica giusta. Non è vero che il calcio italiano è avaro di talenti, basta avere il coraggio di farli giocare. Io preferisco un calciatore scapestrato, come ero un po’ io, ad uno più regolare ma meno talentuoso". E i talenti da noi non mancano. Uno su tutti? "Verratti. Così piccolino di statura non diresti che potrebbe giocare ad alti livelli, invece possiede un talento calcistico enorme". La sua Nazionale cerca sempre di vincere e gioca di conseguenza: "A me piace il calcio offensivo, so benissimo che l'Italia ha vinto quattro titoli mondiali giocando all'italiana, ma penso che oggi si possa fare un calcio più offensivo. I tempi della difesa-contropiede sono finiti e non da oggi".  

    "Noi siamo orgogliosi di aver riacceso l'amore degli italiani per la nazionale di calcio e all'Europeo di giugno cercheremo di fare contenti i nostri tifosi. Il calcio è un fattore di unità, se la nazionale italiana gioca bene e vince gli italiani sono contenti. E quando ascolto l'inno nazionale stando in panchina mi sento orgoglioso e felice di essere italiano, io credo che la maggior parte degli italiani siano persone perbene e penso che l'Italia sia il Paese più bello del mondo, viviamo in mezzo alla bellezza. Nessuno possiede i tesori artistici e ambientali che abbiamo noi". Giovanna Melandri assentiva, felice e ammirata dal 'talento' dialettico di Roberto Mancini. 
     

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