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  • Mourinho non è tornato, ma ha fatto tornare il Tottenham: ora vale Klopp e l'ipervalutato Guardiola

    Mourinho non è tornato, ma ha fatto tornare il Tottenham: ora vale Klopp e l'ipervalutato Guardiola

    • Giancarlo Padovan
      Giancarlo Padovan
    Non è tornato lui, ma ha fatto tornare il Tottenham. Da un lungo oblio in Premier, da una classifica deficitaria - la stagione scorsa, quando era sprofondato al quattordicesimo posto -, dalle opache partite nelle coppe e, soprattutto, dalla finale di Champions League in cui la squadra si era inchinata, come una comprimaria qualsiasi, allo strapotere del Liverpool. 
     

    Oggi Josè Mourinho non è più costretto a ricordare quanti titoli e trofei ha vinto (24 più di ogni altro allenatore in attività), gli basta guardare la classifica del campionato inglese per capire che il vento è cambiato. Il suo Tottenham, pur essendo a pari punti con il Liverpool, è primo in forza della differenza reti e con la miglior difesa del torneo (nove gol subiti). Ha due punti di vantaggio sul Chelsea, cinque sul Manchester United e sei sul Manchester City che, però, hanno una partita in meno.

    Chelsea e United sono le ex squadre di Mourinho. La prima ha speso duecento milioni per vincere la Premier ed è, con il Liverpool, la favorita. L’altra, da quando Mou l’ha lasciata, non ha più vinto nulla. Con lui erano arrivati un’Europa League, una Coppa di Lega inglese e una Supercoppa.
     
     

    Di più. In questo campionato Mourinho ha consumato due vendette contro le dirette rivali.  A Manchester, fronte United, è andato a vincere 6-1, in campionato, mentre in Coppa di Lega ha eliminato ai rigori il Chelsea. 

    Non è finita. Perché giovedì sera, battendo l’Anversa, il Tottenham ha chiuso al primo posto anche il girone di Europa League ed è in corsa in tutte le competizioni: Premier, le due coppe inglesi e, appunto, l’Europa League. 

    Forse qualcuno - come il fratello di Pogba - ha detto troppo presto che Mourinho era un allenatore finito senza accorgersi del clamoroso flop familiare. Forse altri ne hanno sottovalutato le capacità (si diceva che riuscisse a vincere solo con le squadre forti, dimenticando che aveva conquistato una Champions con il Porto), certamente i più consideravano la sua parabola in discesa, ignorando che l’uomo ha sette vite e non solo la lingua per parlare.

    Comunque anche Mourinho ha capito che la sua carriera non sarebbe potuta essere considerata solo comunicazione e che il linguaggio da esercitare più degli altri era quello dei risultati. Magari partendo dal basso o, comunque, non per vincere. Prendere il Tottenham in corsa, poco più di un anno fa, non è stata una scelta alla Mourinho. Ma da allenatore disoccupato che, nonostante una grande ricchezza accumulata con ingaggi faraonici, cerca un’opportunità per fare calcio vero e non legato strettamente legato alla vittoria. 

    Anzi, andando al Tottenham, il portoghese ha accettato come minimo un anno di transizione (chiuso con il sesto posto e la qualificazione in Europa League) e ha anticipato di un anno, la stagione delle possibili vittorie. Onestamente è quasi impossibile che vinca la Premier, anche se può qualificarsi per la Champions. Possibile, invece, che resti in lizza per la FA. Cup o per la Coppa di Lega. Personalmente credo che anche l’Europa League sia alla portata, pur dovendo ammettere che è una competizione lunga e complicata e che per vincerla si deve sempre sacrificare qualcosa.

    Tuttavia la novità per me è un’altra: Mourinho può anche non vincere, ma è tornato competitivo come ormai non era più da anni, soppiantato dal nuovo di Klopp e dal sempre ipervalutato Guardiola, uno che anche se non vince e perde male, viene considerato grande a prescindere dalle squadre che allena.

    Resta da vedere non fino a dove Mourinho arriva, ma fino a quanto resiste. A meno che questa  non rappresenti una nuova condizione esistenziale: cercare il meglio, scartare l’inutile. Anche se luccica.

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