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  • Padovano accusa: 'Trattato come l'Escobar italiano. L'isolamento, il carcere, Vialli...'

    Padovano accusa: 'Trattato come l'Escobar italiano. L'isolamento, il carcere, Vialli...'

    Lo scorso 31 gennaio, la Corte d’Appello di Torino ha assolto Michele Padovano dall’accusa di aver finanziato un traffico di stupefacenti nel 2006, chiudendo una parentesi lunga 17 anni, durante i quali si è battuto con determinazione al fine di dimostrare la sua innocenza.

    Intervistato da Il Giornale, l'ex attaccante della Juventus ripercorre le tappe della sua disavventura giudiziaria.

    L'arresto: "Ricordo le modalità davvero assurde con cui venni condotto in questura, come se fossi l’Escobar italiano. E dopo le impronte digitali venni immediatamente trasferito nel carcere di Cuneo. In isolamento. Ricordo bene che quando venni prelevato da casa e condotto in questura, pensai che fosse tutto uno scherzo. O almeno lo sperai fortemente".

    L'isolamento: È stata durissima. A Cuneo mi misero in isolamento per 10 giorni. Senza doccia, in condizioni terribili. In seguito, acquisita l’ordinanza, iniziai a leggerla attentamente. Anzi la studiai a memoria e più la studiavo, più mi rendevo conto dell’errore sulla mia figura. Dopo quei 10 giorni atroci di Cuneo, venni trasferito a Bergamo per 3 mesi. Fisicamente fu devastante".

    I domiciliari: "Dopo 200 giorni circa di carcere, tornò a casa. Ogni giorno i carabinieri venivano 2-3 volte. Chissà, pensavano volessi scappare! E dopo 9 mesi di domiciliari, altri 5 mesi con l’obbligo di firma".

    L'iter processuale: "Nel 2011 la sentenza di primo grado fu 8 anni e 8 mesi, in appello 6 anni e 8 mesi. Ma credo che la mossa fondamentale sia stata cambiare i miei avvocati. E con Michele Galasso e Giacomo Francini è iniziato un viaggio tutto nuovo che è terminato poche settimane fa con l’assoluzione".

    La famiglia: "Devo tutto a mia moglie Adriana. È lei che ha reso possibile che io continuassi ad essere marito e padre di Denis. La famiglia è tutto nella vita".

    Vialli: "Luca telefonava sempre a mia moglie quando ero in carcere. Eravamo amici, molto amici. La mia scelta di andare a Londra al Crystal Palace fu determinata dal fatto che lui era lì. Con lui se n’è andato un pezzo di me". 
     

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