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  • Sampmania: "Dove erano le istituzioni”? Qui.

    Sampmania: "Dove erano le istituzioni”? Qui.

    • Lorenzo Montaldo
    Che brutto quando una partita - anche giocata bene, con piglio e determinazione - diventa soltanto un contorno. Che brutto guardare la Sampdoria e pensare “Va beh, perdere o no, cambia poco”. Che brutto rendersi conto di essere rassegnati, che brutto non incavolarsi nemmeno per un eurogol. Che brutta questa sensazione di arrendevole disillusione. A questo hanno ridotto la Sampdoria oggi. 

    Commentare razionalmente dal punto di vista sportivo Lazio-Sampdoria ha poco senso. I riflettori, volenti o nolenti, se li è presi Massimo Ferrero. Mi fa sorridere la gigioneria piaciona di chi neppure lo scrive per esteso, impiegando solo le iniziali, o non pubblica sue foto per lisciare i tifosi esasperati ed accattivarsi le simpatie. Come se nascondere nome e cognome potesse servire a qualcosa. E’ il caso di darsi una svegliata, tutti quanti. Negare che la sua presenza ieri in Tribuna fosse un segnale forte, preciso e diretto, è da pazzi. E’ un misero tentativo di comportarsi come gli struzzi, di nascondere la testa sotto la sabbia per obbligarsi a non vedere ciò che ci fa paura. Dobbiamo fare una bella doccia di sano realismo e ammettere che, alla fine, ha vinto lui. La partita della Sampdoria se l’è vista, in tutta comodità. Nessuno glielo ha impedito, le telecamere lo hanno inquadrato, si è parlato della sua presenza e, nella ridicola gara a chi ce l’ha più duro, ha marcato un bel punto. E’ ricomparso, con lo stesso sadismo del colpevole che torna sul luogo del delitto, per gustarsi la scena del crimine e riassaporare le sensazioni provate. 

    Due cose mi disgustano. La prima è la testa di maiale recapitata in sede. Gesto deprecabile e odioso, da condannare senza appello, e assolutamente non appartenente al corredo genetico del Sampdoriano, inteso come singolo e come tifoseria. Casualmente arrivato proprio nella settimana migliore possibile per Ferrero. Combinazione, proprio quando il Viperetta aveva deciso di recarsi all’Olimpico. Non è una cosa da Sampdoriani. Il secondo aspetto a darmi il voltastomaco è che il titolo d’accesso alla partita pare gli sia stato concesso da Sport e Salute, un’organizzazione che si autodefinisce ufficialmente come “la Società dello Stato e la struttura operativa del Governo nella politica pubblica sportiva per la promozione dello sport di base e dei corretti stili di vita”. In pratica, se confermato, l’accredito a Ferrero lo avrebbe concesso un ente del Ministero delle finanze, strettamente imparentato con il Coni. Tutto legittimo, per carità. Ma avete presente quando, parlando del dramma Sampdoria, sentite l’insopportabile domanda retorica “Dove erano le istituzioni?”. Qui avete la risposta.

    In un contesto del genere, davvero qualcuno vuole parlare di pallone? Con 11 punti in 24 giornate, non so se esista davvero chi abbia piacere nell’analizzare Lazio-Samp. Ed è un peccato, perché ieri sera il Doria ha anche giocato bene, ha creato molto e ha sbagliato altrettanto (non se lo può permettere, ma ormai lo sanno pure i sassi), venendo punita soltanto da un’imparabile gioiello di Luis Alberto. Senza la perla dello spagnolo, sono convinto che il risultato sarebbe inchiodato sullo 0-0 ancora adesso. Al massimo, mi reputo un po’ infastidito dal fatto che simili prestazioni le avrei gradite maggiormente in casa, contro formazioni alla nostra portata, stile Bologna e Udinese. Del pareggio con l’Inter, o della partita gagliarda a Roma, me ne faccio ben poco. Ma è solo un di più, una nota a margine nel circo di questa stagione insopportabile. 

    C’è chi tenta di illudersi, e illudermi, dipingendo le comparsate di Ferrero come il canto del cigno di una persona disperata e prossima all’oblio. Spero e prego abbiate ragione. Ma in realtà, più che gli ultimi sussulti del pesce pescato e tolto dall’acqua, che sbatacchia in cerca degli ultimi scampoli d’ossigeno, a me pare tanto un brusco risveglio da un piacevole ma effimero torpore da sbornia durato un annetto. Una sbornia che, quando passa, lascia solo i postumi. E a volte, i postumi ti fanno stare persino peggio. 

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