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  • Argentina campione, non è solo il Mondiale di Messi. Meno forte, ma più squadra e con altri 3 eroi

    Argentina campione, non è solo il Mondiale di Messi. Meno forte, ma più squadra e con altri 3 eroi

    • Giancarlo Padovan
      Giancarlo Padovan
    Il Mondiale dell’Argentina - il terzo della sua storia a 36 anni da quello di Maradona di Messico 86 - non appartiene solo a Lionel Messi che, finalmente e meritatamente, ce l’ha fatta, seppure ai rigori (4-2), nonostante il pareggio al 90’ (2-2) e quello, immediatamente successivo, ai supplementari (1-1).

    La Coppa che la Pulce ha alzato sotto il cielo del Qatar e davanti agli sconfitti della Francia, ha almeno altri tre padroni: Angel Di Maria, fino al 64’ l’assoluto trascinatore dell’Albiceleste con un rigore procurato (trasformazione di Messi) e un gol sull’azione più bella dell’intero torneo (assist di Mac Allister).

    Il portiere Emiliano Martinez che ha salvato di piede il tiro a botta sicura di Kolo Muani quando stava scadendo il recupero del recupero del secondo supplementare e poi ha parato il rigore di Coman (l’altro francese a sbagliare è stato Tchouameni che ha tirato fuori).

    Il terzo protagonista è stato, senza ombra di dubbio, il c.t. Scaloni che con la zona-pressing, il ritmo, la velocità e la coordinazione tra reparti ha surclassato Deschamps fino all’ora di gioco. Poi, sottovalutando le capacità fisico-atletiche della sua Nazionale, ha tolto Di Maria per il mediocre Acuna. La sostituzione, già di per sè cervellotica, poteva avere un senso se Scaloni avesse cambiato disposizione. Ovvero se fosse passato dal brillante e vincente 4-3-3 iniziale ad un più coperto 4-4-2. Invece, seppure in maniera del tutto occasionale e quando la finale sembrava a tutti finita, la Francia è rientrata in partita con il rigore provocato da Otamendi (fallo su Kolo Muani) e nel giro di due minuti (80 e 81’) ha pareggiato una gara nella quale non aveva fatto nemmeno un tiro in porta.



    Così, dalla finale meno combattuta e più prevedibile della storia del calcio, è uscita una disputa epica. I francesi avrebbero potuto vincere se Deschamps non fosse stato così precipitoso nel fare due sostituzioni, addirittura prima che finisse il primo tempo. Passi per Dembelè, che aveva causato il calcio di rigore su Di Maria ed era fuori fase. Ma Thuram (nullo per il resto della partita) al posto di Giroud grida vendetta al cospetto della logica.

    Più felici gli altri cambi, in qualche modo obbligati per il nulla combinato dalla Francia fino a dodici minuti dalla fine. Coman per Theo Hernandez è stata una scelta di coraggio, Camavinga per Griezmann quella della disperazione. Anche il 4-2-4, sistema di gioco della piena emergenza, giustificava un rischio totale.

    Nulla, tuttavia, avrebbe avuto senso se in campo non si fosse svegliato Kylian Mbappè autore di una tripletta tra tempi regolamentari e supplementare. Il francese, con otto reti, ha vinto la classifica dei marcatori, ma avrebbe preferito non segnare tanto pur di bissare il titolo di quattro anni fa.

    Oggi non vale, ma da domani e nel futuro capirà che la sua grandezza, in molti frangenti superiore a quella dello stesso Messi, ci ha permesso di assistere ad un finale di partita immenso, a due supplementari palpitanti e sempre aperti a qualsiasi soluzione. La Francia ha avuto l’ultimo pallone buono per restare campione del mondo, ma Emiliano Martinez è stato strepitoso. Solo i calci di rigore hanno preso subito una direzione precisa: nessun errore degli argentini (Messi, Dybala, Paredes, Montiel), due consecutivi dei francesi.

    Finale leggendaria e crudele. Ma, alla fine, giusta. Giustissima. La Francia non ha onorato il proprio blasone e essere stata alla stessa altezza dell’avversario, se non addirittura meglio, per mezz’ora, non basta per coltivare rimpianti.

    L’Argentina non ha i valori e la qualità della Francia. Ma è squadra ed è calcio. Deschamps, pur falcidiato dagli infortuni che hanno menomato la sua Nazionale di troppi elementi, punta su Mbappé, un uomo contro il resto del mondo. Fare o essere solo così non basta più, nemmeno fuori dal club.

    Messi ha vinto non da solo, intorno aveva compagni meno bravi di quanto non siano quelli di Mbappé, ma è stato più dentro al gioco, ha difeso e lottato, creato e segnato. Leo non è più grande di Maradona e nemmeno di Pelé. E’ più umile e più sofferente. Ma da oggi ha la Coppa più grande che gli illumina la strada. Ancora non molta, solo in discesa.


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