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  • Atalantamania: contro la Juve si decide lo scudetto, mezza Italia tifa Dea!

    Atalantamania: contro la Juve si decide lo scudetto, mezza Italia tifa Dea!

    • Marina Belotti
    Per ogni bergamasco, negli ultimi quattro anni, è ormai diventato impossibile non credere nell’impossibile. Dalle vittorie al San Paolo del 2017 all’accesso in Europa e Champions League, fino al superamento del girone e alla Final Eight di Lisbona: tutti eventi in-credibili a cui gli atalantini si sono abituati a credere, spalancando gli occhi per sognare. Sì, cara Dea, se vinci sabato sei a meno sei dallo scudetto, con sei gare da giocare tutte d’un fiato e almeno dieci regioni italiane a spingerti verso un traguardo che farebbe innamorare i romantici, applaudire gli amanti del bel calcio, impazzire i bergamaschi. Una favola mai vista, nemmeno a Leicester in Inghilterra.
     
    MO-TORINO- Ma a parte le bollenti illusioni, tenute in vita grazie alla ben più fredda matematica, che cosa ha davvero questa Atalanta per fregiarsi del titolo di diretta concorrente della Juve? Che sa solo vincere, ad esempio. Sei gare su sei centrate nel post lockdown, solo in tre hanno raccolto bottino pieno e le altre si chiamano Bayern Monaco e Real Madrid. I bianconeri no, hanno perso e preso sei- ancora questo numero- gol nelle ultime tre gare, proprio quando l’Atalanta affinava il suo punto debole calando il sipario sulla difesa ballerina e chiudendo senza subire mai. La Juve vanta le prodezze dei singoli, i guizzi di CR7, la rabbia di Rabiot, il ritorno di un Dybala da cui è palesemente dipendente. Ma come squadra perde. La Dea ha le sue perle nel tridente, sì, ma ha anche un centrocampo goleador e una difesa che usa la testa, e tanto, su corner, punizioni, triangolazioni e attacchi. Dove non arriva il fisico, c’è la mente. Dove non può la fame, spunta la maturità. Un unico motorino nerazzurro che viaggia a mille verso Torino, per puntare, ancora una volta, l’impossibile.
     
    SUGLI SCUD(ETTI)- Perché si sa che i giocatori, ancor più se intervistati in pre o post gara, se non parlano per frasi fatte poco ci manca e sono bravi a non far trapelare i loro pensieri. Mettetevi nei panni dei nerazzurri, che hanno vissuto un incubo lungo quattro mesi tra le Mura di Bergamo, incapaci di abbandonare la città che li ha accolti per non sentire più sirene e carri, persi di fronte a un destino che li ha frenati all’apice della loro carriera, accanendosi così brutalmente senza un perché. E poi la spinta a ripartire per far tornare un sorriso di leggerezza ai tifosi che li applaudivano nelle sconfitte pesanti, la voglia di una città di rinascere, le gambe che rispondono, i gol che arrivano, il fiato che tiene, le avversarie che mollano e la classifica che ride. Dire che la Champions è il primo obiettivo è imitare -male- patron Percassi che, fino a 12 mesi fa, incrociava le dita per la salvezza. Sono carichi della giusta rabbia, consapevoli della loro forza, consci che occasioni così, tra Serie A e Champions secca, capitano di rado. Sabato non andranno a Torino per fare bella figura, far divertire l’Italia del calcio e lottare per un punto, “che contro la prima sarebbe già oro”. No, scenderanno in campo per vincerla, per migliorare gli 85 gol (20 in più della Juve!), per far tremare Sarri e portarsi a -6. La Dea ha smesso di guardarsi le spalle (Roma, Napoli) per fissare 3 punti oltre: Inter e Lazio ormai sono accanto a lei, davanti c’è solo una squadra. Sabato si deciderà lo scudetto di questo pazzo campionato. Perché se la Dea riuscirà a cancellare anche le Zebre, attraversare la strada per il primo posto sarà più agevole che mai.

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