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  • Belotti: 'Tifavo Milan, un onore essere allenato da Gattuso. Sheva il mio idolo, voglio la Nazionale. E il futuro...'

    Belotti: 'Tifavo Milan, un onore essere allenato da Gattuso. Sheva il mio idolo, voglio la Nazionale. E il futuro...'

    Andrea Belotti, attaccante del Torino, obiettivo di mercato della Roma, si racconta a la Gazzetta dello Sport, partendo dall'esperienza di Palermo con Gattuso, attuale allenatore del Milan: "Il primo allenatore al Palermo? Gattuso. Ma non l’ho vissuto tantissimo perché sono arrivato alla fine del mercato e quindi non avevo fatto il ritiro. Poi ero andato in Nazionale due settimane. Quando sono arrivato io il campionato era già iniziato e ho fatto quattro settimane con lui. Non più di tanto, il tempo di conoscerlo. Lui è stato esonerato dopo Bari-Palermo e proprio in quella partita mi fece esordire. Però per me è stata un’emozione perché, essendo io tifoso del Milan da piccolo, avere come allenatore un giocatore rossonero, per il quale avevo tifato, era qualcosa di magico. Poi è arrivato Iachini e abbiamo iniziato a vincere".

    SUL SUO IDOLO - "Il mio idolo è sempre stato Shevchenko. Non solo per il tipo di giocatore che per me era straordinario. L’ho sempre ammirato perché era un ragazzo che non faceva mai parlare di sé fuori dal calcio, un gran lavoratore, un professionista, dimostrava tutto sul campo e basta. È una cosa che mi ha colpito. E che ho cercato di replicare. Lavorare, più che dire".

    SU DYBALA - "Il primo anno vedevo che aveva delle qualità tecniche esagerate. Però non era ancora riuscito ad esplodere, e sotto porta faceva fatica a fare gol. Era anche abbastanza leggerino, fisicamente. Soffriva sempre un po’ il contatto. L’anno dopo, un cambiamento incredibile. Mi sono impressionato quando l’ho visto perché, a parte che faceva sempre gol, giocava un calcio pazzesco. Nonostante fosse piccolino era diventato più robusto, quindi anche fisicamente teneva botta, cioè riusciva a stare in piedi. A volte strappava via, anche a tu per tu. Teneva e ti bruciava".

    SUL TORINO - "Ero in Austria in ritiro col Palermo per due settimane e c’era la sosta di Ferragosto. Torno a Palermo perché nel frattempo mi ero fidanzato. Sapevo che c’era qualche contatto, il presidente diceva: “Devi andare via da Palermo”, poi diceva “no devi rimanere” e verso Ferragosto, mancava poco alla fine del mercato, mi chiama e mi dice “Domani mattina devi partire e andare a Torino, firmiamo e ti alleni”. Mi ricordo che era notte quando ho chiamato il magazziniere e gli ho detto “mi devi preparare le scarpe perché domani me ne vado”. Era sconvolto. La mattina alle sei, siamo passati allo stadio e lui mi aveva lasciato le scarpe. Mi hanno detto poi che lo aveva fatto piangendo. C'erano anche l'Atalanta, il Sassuolo, principalmente. Anche la Sampdoria. Però io ero più attratto dal Torino e dal progetto di Cairo". 

    SULLA NAZIONALE - "Giocare in Nazionale è un sogno, per chiunque. Io non nego che per me è sempre un’emozione incredibile. Quando indosso la maglia azzurra io vivo come un onore il rappresentare la mia nazione. È difficile da spiegare, è un’emozione unica. Per questo spero di tornare e lavoro perché questo accada".

    SULLA SVEZIA - "«Diciamo che ci sono state tante cose andate tutte male. La partita in Svezia era stata strana. Un palo di Darmian, poi un gol su rimpallo, perdiamo 1-0. Eravamo arrabbiati perché qualche svedese aveva pure provocato. Anche questa cosa ci aveva tolto serenità. Finita quella partita tutti abbiamo pensato che sicuramente ci saremmo rifatti a Milano. E siamo arrivati a San Siro contratti. Nei giorni precedenti la partita mancava lucidità, non c’è stata sicurezza. Era una grande squadra. Ma quando ti trovi senza serenità e convinzione le cose non ti riescono mai. Mi ricordo un’azione in cui forse non è stato fischiato un rigore su Parolo dopo pochi minuti. Quello è sembrato un segnale che le cose si mettevano male e ha aumentato l’insicurezza. Dopo? Brutto. Tutti a piangere. È stato un fallimento generale e c’era tanta rabbia, delusione". 

    SUL FUTURO - "Lo immagino qui perché sono quattro anni che mi trovo benissimo a Torino. Sono in una grande piazza, in una grande società, con dei compagni fantastici. E io ho sempre pensato che Torino sia una città bellissima. Se devo dire un posto dove immagino il mio futuro dico sicuramente Torino".

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