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  • Berlusconi come Agnelli, così uguali e così diversi: quando la morte è l’inizio della fine

    Berlusconi come Agnelli, così uguali e così diversi: quando la morte è l’inizio della fine

    • Giancarlo Padovan
      Giancarlo Padovan
    La morte di Silvio Berlusconi è un fatto epocale. Non perché, dopo la lunga malattia e le tribolazioni che ha comportato, fosse inaspettata, ma perché, nonostante i presagi della fine, lascia un vuoto di fondo sicuramente incolmabile. Visionario ed eccessivo, Berlusconi ha cambiato l'Italia, lo si voglia ammettere o no, lo si voglia accettare o meno. Ha cambiato, oltre che la politica, anche il destino di due settori vitali e consonantici con la nostra professione: lo sport e la comunicazione. Non credo che Berlusconi avesse modelli, ma, seppur con molte differenze, accosto la sua vita e perfino la sua morte a quella di Gianni Agnelli.

    Quando morì l'Avvocato, ero direttore di Tuttosport e ricordo nitidamente sia la mattina della scomparsa, l'alba del 24 gennaio 2003, sia il giorno successivo. La salma venne esposta al Lingotto e i familiari, accanto al feretro, strinsero la mano, dalle sette della mattina alle sette della sera, a tutta quella Torino che volle onorarlo. Oggi una rappresentazione della morte così poderosa non è certo pensabile (infatti, per ragioni di ordine pubblico, non ci sarà la camera ardente negli studi di Mediaset), tuttavia l'uscita di scena di Berlusconi ha molto in comune con quella di Agnelli. Entrambi capitani d'industria, entrambi amanti dello sport e del calcio in particolare, tanto da avere due squadre titolatissime, entrambi editori, entrambi senatori anche se con percorsi diversi (Agnelli era stato nominato senatore a vita).

    Una domenica, dopo Juventus-Milan, con successo dei rossoneri in trasferta, Agnelli andò nello spogliatoio dei rossoneri e, davanti a Berlusconi e Sacchi, disse: "Ero convinto che voi due insieme avreste rovinato il Milan, invece...". Una dichiarazione di stima. La differenza tra Berlusconi ed Agnelli è che uno, seppur in maniera controversa, si era fatto da solo (o con l'aiuto di Bettino Craxi) e l'altro era l'espressione (e poi protagonista) di una grande famiglia imprenditoriale. Un'altra distanza, certamente più marcata, è quella comportamentale. Berlusconi era impegnato in una seduzione pressoché costante del mondo, del pubblico, della scena. Mentre Agnelli, da questi e altri punti di vista, ha vissuto di rendita. E poi Silvio è sempre stato attratto dalla sfida per essere al centro dell'universo, Agnelli portava la scena al suo centro.

    Berlusconi ha diviso molto più dell'Avvocato. Anche nel calcio, e perfino i tifosi milanisti, ma soprattutto nell'editoria con la creazione di Mediaset e la proprietà del Giornale, fino alle dimissioni di Indro Montanelli. L'entrata in politica, della primavera del '94, fu ancora più lacerante, ma Berlusconi non perse mai l'abitudine di piacere, di tessere consenso, di raccogliere adesioni. Anzi, quella strategia divenne ancora più battente. Il Milan, al contrario della Juventus per l'Avvocato, fu uno strumento per raccogliere voti. Non il metodo più ortodosso, sicuramente il più fruttifero. Alla fine, sia quando scomparve Agnelli, sia con la morte di Berlusconi se ne vanno due patriarchi che, in vita, hanno saputo tenere unite molte cose. Il loro addio ha significato e significherà l'inizio di uno smembramento familiare e dinastico. Prevedo molti gelidi congedi e qualche pozione di arsenico senza vecchi merletti. Da Forza Italia al Monza. Tranne nelle aziende editoriali, dove tutto è stato saldamente dirottato nelle mani di Marina e Piersilvio, i due soli veri eredi dell'imprenditoria berlusconiana.

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