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  • Biraschi a CM: 'Al Karagümrük si parla italiano. Ho pianto per Totti, mi ha fatto male lasciare il Genoa'

    Biraschi a CM: 'Al Karagümrük si parla italiano. Ho pianto per Totti, mi ha fatto male lasciare il Genoa'

    • Francesco Guerrieri
    Un italiano in Turchia. O meglio, il terzo. Perché al Karagümrük c'è una vera e propria colonia tricolore: dopo Viviano e Borini, a gennaio è arrivato anche Davide Biraschi, dal Genoa in prestito secco. Qualche allenamento per convincere tutti che lì dietro una maglia da titolare è la sua: dieci partite su tredici da quando è lì, ne ha saltate due per un problema fisico e una (in panchina) perché era appena rientrato da un infortunio e non era ancora al 100%. Cartoline dalla Turchia, con il faccione di Biraschi sorridente anche a quasi 2000km da casa: "Sono riuscito ad ambientarmi subito grazie alla presenza di italiani ed ex giocatori di Serie A in squadra - racconta nella nostra intervista - ho trovato qualcuno che conoscevo già. Sta andando molto bene".

    Come va con la cucina?
    "Qui mangiano cibi molto, molto speziati. Con Viviano cerchiamo spesso ristoranti italiani o comunque più europei, alla fine Istanbul è una città dove si può trovare ogni cosa".

    Gli italiani in squadra siete te, Viviano e Borini, oltre a Zukanovic, Biglia e Karamoh che hanno giocato in Serie A: che lingua si parla nello spogliatoio? 
    "Si parla molto italiano, ma a comandare è l'inglese. L'allenatore parla solo turco però ha un interprete che ci traduce tutto in inglese, io mi faccio dare una mano da Borini che lo parla perfettamente".

    E col turco come te la cavi?
    "E' una lingua difficilissima, non c'è nessun tipo di collegamento né con l'inglese né con l'italiano. Ho imparato qualche parola di vita quotidiana: 'grazie', 'buongiorno'...".  

    A 6 giornate dalla fine siete a metà classifica, qual è l’obiettivo stagionale? 
    "Inizialmente era la salvezza, ora vogliamo chiudere al meglio il campionato e, perché no, provare ad andare in Europa dopo l'eliminazione ai quarti dalla coppa: finché la matematica non ce lo vieta siamo ancora in corsa. Dobbiamo provare a vincerle tutte".

    Chi è un giocatore del Karagümrük che consiglieresti ai club italiani? 
    "Sono rimasto sorpreso dalla qualità che c'è in questa squadra, ma se devo fare un solo nome dico Emre Mor: è un ragazzo che ha numeri davvero importanti, in Serie A potrebbe fare benissimo".

    Tempo fa non hai nascosto di tifare Roma.
    "La mia famiglia è sempre stata giallorossa, dai miei nonni ai miei genitori e fratelli. Così anch'io sono sempre stato della Roma, è la squadra della mia città".

    In famiglia siete 9 figli, altri due e formavate una squadra di calcio.
    "A quello ci pensano i mei fratelli, giocano tutti nella squadra del quartiere. Siamo sette maschi e due femmine: crescere con otto fratelli è bellissimo, ognuno ha un carattere diverso dall'altro e si vede una stessa cosa da più punti di vista. So che ci sarà sempre qualcuno di loro a darmi una mano, qui in Turchia per esempio c'è uno dei miei fratelli che sta studiando fisioterapia".

    Un bel lavoro per i vostri genitori.
    "Devo tutto a loro, sono persone fantastiche e non so come siano riusciti a crescere nove figli tutti con la testa sulle spalle, riuscendo a darci la cultura del lavoro ed un certo tipo di educazione".

    Nove figli e un solo calciatore?
    "Ti assicuro che a casa Biraschi la qualità non manca, ma per arrivare in alto bisogna fare sacrifici e rinunce che alcuni non sono stati in grado di fare".

    L’addio di Totti l’hai vissuto dal campo in quel Roma-Genoa, che emozione è stata? 
    "Per me che sono cresciuto nel suo mito è stato qualcosa di fantastico, a fine partita mi è scesa qualche lacrima. Sì, ho anche pianto. A fine partita anche gli altri ragazzi erano commossi. Mi era capitato spesso di andare a vedere la Roma allo stadio, ma quale giorno, guardando le tribune dal campo, sentivo che c'era qualcosa di diverso. L'Olimpico era pieno come non l'avevo mai visto, era una situazione surreale".

    Sei riuscito ad avvicinarlo a fine partita?
    "No, non non volevo disturbarlo. Insieme ai miei compagni siamo rimasti in campo per sentire il suo discorso".

    In Turchia riesci a seguire il Genoa?
    "Certo, è una parte del mio cuore e spero si riesca a salvare".

    Ci riusciranno?
    "Ci siamo già trovati altre volte in situazioni simili, ma la forza di questa squadra è quella di fare miracoli e uscire a testa alta dalle difficoltà. Inoltre il Genoa ha dei tifosi fantastici che spingono dal primo all'ultimo minuto, il loro entusiasmo può diventare decisivo".

    Com’è nata l’idea di lasciare il Genoa? 
    "Dopo tanto tempo lì avevo capito che era la soluzione migliore sia per me che per la società. Allontanarci per un po' andando via in prestito. E' stato un momento che mi ha fatto male perché sono andato via in una situazione di classifica complicata, ma un giorno spero di tornare".

    Quando sei andato via hai mandato un messaggio: ‘È solo un arrivederci’.
    "Sì, perché sono ancora di proprietà del Genoa e vorrei tornare per quello che mi hanno dato la società e i tifosi. Lì ho vissuto emozioni che non ho mai avuto da nessun altra parte".

    Per qualche settimana hai lavorato con Sheva, che impressione ti ha fatto da allenatore? 
    "L'ho sempre visto come una persona fantastica, purtroppo non è riuscito a trasmettere il suo calcio anche se le sue idee di gioco mi piacevano. Non era una situazione facile, ha avuto un calendario complicato e quando non si vince per un un po' si entra in un vortice dal quale è difficile uscire".

    27 novembre 2016 il debutto in Serie A contro la Juve che quel giorno in attacco giocava con Mandzukic e Cuadrado, mica male. 
    "Un momento impossibile da dimenticare. Quando il mister mi ha detto che dovevo entrare stavamo vincendo 3-1 e io ho pensato 'Io?!'. Mi sentivo spaesato, ma ero consapevole di aver realizzato il sogno di una vita. La mia famiglia a guardarmi in tv e io in campo contro la Juve". 

    Chi è l’attaccante che hai fatto più fatica a marcare?
    "Ne ho affrontati tanti fortissimi, ma quello che mi ha impressionato di più è Douglas Costa. Quando giocavamo a tre io ero un po' più al lato e mi capitava spesso di marcare gli esterni: posso dirvi che lui ha una velocità nello stresso impressionante, non facevi neanche in tempo a girarti che già era passato dietro".

    Sei un collezionista di maglie?
    "Io non particolarmente ma c'è uno dei miei fratelli, quello che vuole aprire un centro di fisioterapia, che prima di ogni partita mi chiede di prendergli una maglia. Ne avrò prese 150/200, ma ce l'ha tutte lui nell'armadio".

    La più difficile da recuperare?
    "Ho provato a prendere quella di Totti il giorno del suo addio, probabilmente quella me la sarei tenuta. Sarebbe andata bene anche quella di un altro giocatore della Roma perché avevano tutte un logo particolare per l'occasione, ma non l'ho scambiata con nessuno perché quelle maglie sarebbero andate in beneficenza".

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